Cellule staminali. Si può fare!
Chi non ricorda il film del 1974 Frankenstein Junior di Mel Brooks, quando Gene Wilder, il protagonista principale, leggendo il libro degli esperimenti dell’eccentrico scienziato e parente Victor Frankenstein, si convince della possibilità di ricreare un uomo in laboratorio e così urla: «Si può fare!». Ecco, la stessa battuta convincente può essere usata nei riguardi della cellula staminale. Di quella piccola ma basilare struttura di ogni essere vivente che, grazie alla sua capacità di rigenerazione e trasformazione, si può permettere di indossare la veste di altri tipi di cellule del corpo. Così minuscole, eppure così fondamentali nella rivoluzione della medicina per quanto concerne la riparazione e la riproduzione di tessuti e organi danneggiati. Con la giusta sicurezza dei protocolli di ricerca e applicazione, si possono aiutare molti malati a vivere più a lungo o almeno in maniera più decorosa. Si salvano vite che vanno dal neonato all’età adulta. Le cronache ne parlano ormai con più attenzione e pacatezza. È del 21 settembre scorso la notizia della voluta nascita di un secondo figlio, in una famiglia toscana, per aiutare il primo nato, colpito da una dolorosa patologia del sangue. Missioni speciali uniscono, nell’intento finale della riuscita, personale medico, paramedico e non, affinché vita sia. E cosa starà pensando il famoso “Paziente Zero” americano che si trova, dal 12 ottobre scorso, in una stanza dello Shepard Center di Atlanta, sottoposto, lui per primo, alla cura delle cellule staminali embrionali per contenere e riparare i danni alla spina dorsale provocatigli da un incidente occorsogli alcune settimane fa? Ad una miracolosa riuscita, sicuramente! Piccole e infinitesimali, queste cellule possono riparare “a comando” gli ingranaggi difettosi del corpo umano. E già si pensa agli spauracchi da esorcizzare del morbo di Parkinson, dell’Alzheimer, del diabete, delle malattie cardio-vascolari, ecc. Ma non soltanto. Per evitare che vengano distrutti gli embrioni di queste cellule, intesi come presumibili vite umane, si sta addirittura cercando di riprodurre o meglio riprogrammare delle cellule della pelle in staminali a un livello definito «quasi indistinguibile». Si susseguono, in tutto il mondo, convegni, ricerche, corsi di formazione, affinché la cellula staminale non venga più considerata un mostro alieno bensì il futuro della ricerca e della scienza di fronte all’incurabilità, con l’auspicabile benestare della stessa Chiesa, la quale dovrebbe ormai capire che, in assenza di prodigi divini, è pur necessario che l’uomo in qualche maniera si ingegni per alleviare le sue sofferenze. Inoltre si potrebbe così rinunciare all’utilizzo di migliaia di animali per i test nell’industria chimico-farmaceutica, evitando atroci sofferenze ad “esseri viventi” che sono pur sempre creature di Dio. E per ultimo, l’utilizzo delle cellule staminali potrebbe essere rivolto alla lotta contro l’invecchiamento “estetico”, tentando di fermare se non cancellare i naturali segni del tempo, come le rughe. Lo scienziato Ian Wilmut, demiurgo della famosa pecora Dolly, si ritiene soddisfatto dei risultati raggiunti, senza però dimenticare che «l’obiettivo di queste sperimentazioni è trovare prima di tutto conferma che non c’è pericolo per i pazienti». Ma tutto ciò, come diceva Lucio Battisti, «lo scopriremo solo vivendo».
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