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Catastrofisti: ‘Ricordati che devi morire!’

Aprile 12
07:46 2012

Un certo ambientalismo di catastrofe, gruppi e liberi pensatori, da qualche tempo, stanti le vittorie della natura sugli scellerati umani, li irride e plaude la natura distruttiva vincitrice su tante piccole, inani vite. La tendenza, da condannarsi senza appello, si è manifestata nelle tante disgrazie di frane mortali portate da piogge torrenziali, alluvioni varie, danni da neve; il giudizio perentorio s’è abbattuto anche sugli ospiti delle navi da crociera.

Su quest’ultimo esempio, l’argomento principe èche siccome chi si imbarca sui festaioli barconi di lusso non rispetta l’ambiente, né il low profile da vacanza intelligente e di sicuro non appartiene alla schiatta di sparuti coraggiosi che s’arrampicano a mani nude sulla nuda roccia, allora chi è della élite che non s’imbarca può non considerare la loro disgrazia. Molti di noi pensano che ci vorrebbe più rispetto per il mare, per le coste, e forse in molti si chiedono «ma che razza di vacanza è quella in quattromila (4.000) persone su una bagnarola super accessoriata?» Ma se il gusto potremmo anche definirlo discutibile, (leggi sull’argomento crociere: Una cosa divertente che non farò mai più di D. F. Wallace – Minimum Fax), nondimeno i predicatori del terzo millennio ci disgustano. Alcuni di questi appartengono alla nuova mistica ambientale del neo-comunitarismo (esiste sterminata bibliografia sull’argomento) il cui centro è la comunità, con il ritorno, crediamo positivo, ad una formula collettiva, nella accezione squisitamente ecologica. Attraverso questa nuova collettività si dovrebbero ricostruire, più che altro rifondare e riannodare, i rapporti umani, substrato sociale di qualità volto alla creazione, fra l’altro, di filiere produttive di sopravvivenza e scambio, a chilometri zero, biologiche, biodinamiche etc. Per mezzo di questo più sano sistema socio/economico si dovrebbe arginare lo strapotere finanziario centralizzato dei continenti stato e della finanza creativa che inventa dannosi derivati. Questa, senza dubbio, si è già rivelata un’ottima strada, soprattutto per chi è profondamente convinto di percorrerla, e sono moltissimi. Il ragionamento sottinteso però, tornando alla ferocia dei catastrofisti in azione, sembra essere che tutti quelli che non la pensano in questo modo sono da considerarsi poveracci da deridere, forse perché disinformati riguardo le tematiche ambientali o semplicemente menefreghisti. Alcuni di questi teorici del neo-comunitarismo sembra che vogliano salvare i votati all’autodistruzione a suon di avvertimenti apocalittici più che altro per motivi egoistici: i disinformati, non ambientalisti, irresponsabili, porteranno a fondo anche tutti gli altri informati, responsabili, ambientalisti. Pleonastico affermare che la notizia non buona è che se questo deve accadere accadrà comunque? E poi: il comunitarismo sarà capace di generare solo bontà, armonia e bellezza? E quelli che non vogliono aderirvi? Nel dubbio consigliamo ancora un prodotto culturale, il film Il nastro bianco di M. Haneke. Ci soffermiamo, per ora brevemente, sull’altro vizio di alcuni profeti della decrescita, buona pratica anche questa, ma più accettabile senza predicatori: certi di questi raccomandano – agli altri – di desiderare sempre meno merci e di starsene più in casa, che così non si consuma, ma loro continuano a esporsi sui siti web, nelle vetrine delle librerie, ai convegni in tutta Italia e nel mondo. Teorizzano l’abolizione del lavoro dipendente (infatti si trovano d’accordo col premier Monti); non serve alienarsi (se desidero poco posso vivere con entrate minori), ma hanno, in molti, passatempi costosi (mantenuti con i proventi di quando facevano la vita oggi condannata?). In teoria, se si mostrano nuovi percorsi socio economici bisogna essere i primi a dare l’esempio, se questo non accade ci permettiamo di dubitare anche della buona fede. Oltretutto non è che poche manciate di esistenze ben riuscite grazie alla realizzazione dei propri ideali più profondi possano diventare la ricetta per tutti: una democrazia, per quanto malandata, è tale quando garantisce i mezzi di sostentamento anche a chi non intende rischiare attività in prima persona, o non ne ha le capacità, o è malato. Non siamo tutti quanti scrittori, opinion leader, o fruitori di rendite; occorrerebbe, inoltre, essere in grado di sostenere le aspettative che si vanno creando. E un po’ di ragionevolezza? I catastrofisti dovrebbero finirla con i noi l’avevamo detto, noi l’avevamo previsto. Irridere, anche spesso, è una buona abitudine e mantiene alto l’umore, magari rispettando i morti. Moderazione e modestia possono suggerirci che la responsabilità personale è importante, ma non significa che la ‘buona pratica’ cambierà le sorti del mondo. Tentare di salvare, non riuscendo, non dovrebbe portare ad ‘accanimento educativo’: la situazione è grave riguardo ambiente, clima, occupazione, ma molti di coloro che pretendono di fare informazione, anche di alto profilo, somigliano sempre di più a quel frate che intimava per ben tre volte a Massimo Troisi: «Ricordati che devi morire», al quale l’attore stesso rispondeva, mimando il gesto di prendere notes e penna: «Si, no, mo me lo segn’ proprio, non vi preoccupate».

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