CASTELLI DA AMARE
Il mio Castello è Ciampino. Qui i miei si trasferirono da Subiaco nel ’39, per iniziare una nuova vita. Una chiesa, un collegio per signorine dell’aristocrazia romana, strade alberate e villette, e tutto intorno vigneti e uliveti e una vasta periferia su cui sorsero rapidamente tante casette tirate su alla buona dagli immigrati interni provenienti dalle campagne abbandonate.
A Ciampino, a due passi da Roma, c’erano la ferrovia e l’aeroporto e tante opportunità di lavoro e di crescita; mio padre lo chiamava “il paese della speranza” e qui costruì la sua casa, pensando al futuro dei figli. A Ciampino ho conosciuto il primo batticuore, quello che non ti scordi campassi cent’anni, ho visto i più bei film d’avventura e d’amore al “Pidocchietto”, ho ballato una sola volta sul terrazzo della casa di Rita con ragazzi meravigliosi, ho svolto la mia vita di sposa e di madre, e di lavoratrice rigorosamente in nero.
A Ciampino riposano i miei, al cimitero monumentale che ho scelto anch’io come ultima dimora, nel campetto a terra.
Il mio Castello è Frascati. Vidi la cittadina per la prima volta a undici anni salendo dalla bellissima stazione appena ristrutturata, mi apparve come una visione Villa Aldobrandini oltre gli zampilli della fontana in piazza Marconi, l’ingresso favoloso di Villa Torlonia con il suo Teatro d’Acqua, e imboccati i vicoletti mi trovai davanti l’Istituto Nazario Sauro che mi sembrò una reggia.
Il profumo del pane e dei dolci si mescolava a un odore nuovo, sconosciuto e ubriacante: l’odore di una stagione nuova chiamata adolescenza.
A Frascati ho conosciuto il ragazzino che senza saperlo mi aspettava, per vivere ed invecchiare insieme a me.
Il mio Castello è Rocca di Papa. Con le castagne dei boschi rocchigiani mia madre sfamò la famiglia in tempo di guerra, castagnaccio e caldarroste e racconti di viaggio sul tranvetto dei Castelli, anche quello a due piani quando capitava, e percorsi a piedi che duravano una giornata.
Nei boschi di Rocca di Papa mi portarono mio fratello e mia cognata, appena sposati, per una scampagnata ai Campi di Annibale, e io nel vederli tanto vicini e innamorati mi sentii così affamata che divorai il pranzo a colazione, e per digerire feci mille capriole in mezzo al prato acquistando ancora più appetito.
Il mio Castello è Marino. C’era l’ospedale in cui fu ricoverato mio padre quando si ammalò nell’anno della storia nevicata, lo trattennero per qualche giorno e lo rimandarono a casa senza alcuna speranza, e a maggio fu sepolto nel cimitero comunale dove lo andavo a trovare spesso, in cerca di consigli e di un conforto che non mi poteva venire da una fotografia su una lapide.
Il mio Castello è Velletri. Da alcuni decenni vivo in una casetta nel bosco, circondata di verde e di gatti.
Non è stata una scelta ragionata, ma un caso fortunato: un avviso su “Porta portese” in un momento in cui sentivo il bisogno di cambiare aria, allontanarmi dai rumori e dalla frenesia cittadina.
Vidi la casetta bianca affogata nella vegetazione inselvatichita, oltre il cancelletto di ferro, e la “riconobbi” al primo sguardo e senza ripensamenti. Una sterzata brusca che cambiò radicalmente la mia vita e mi offrì possibilità insperate, una nuova angolazione da cui osservare il mondo circostante in cui presto mi sarei inserita.
A Velletri ho conosciuto la raccolta dei funghi, della legna secca nel demanio forestale, la cordialità ma anche la diffidenza della gente del luogo, e tante persone che mi sono state preziose per lo sviluppo di nuovi e affascinanti interessi.
Il mio Castello è Albano Laziale. Al Lago di Castel Gandolfo, a cui si arrivava allora con la funivia, feci la più bella corsa della mia vita.
Era il 1955, era stato ritrovato il corpo di Antonietta Longo, decapitato, e sembrava a tutti di vedere nei riflessi del lago la sua testa mozza con gli occhi sbarrati.
Ma accanto a me c’era Antonio, era ‘grande’, aveva sedici anni, la testa ricciuta e gli occhi neri. Mi prese all’improvviso per mano e cominciò a correre, senza darmi respiro, senza rallentare, tirandomi con forza per tutto il giro del lago e in una radura crollammo a terra sfiniti, sudati e felici, e così ci trovò il resto della comitiva.
Grazie Antonio per quella corsa irripetibile in cui bruciai gli ultimi bagliori di un’infanzia forse troppo breve.
Il mio Castello è Monte Compatri. Vi approdai grazie al mensile “Notizie in… Controluce” con cui iniziai a collaborare e da oltre tre lustri condivido con gli amici dell’Associazione Photo Club Controluce una delle più ricche e formative esperienze di vita e di operatività che mi sia capitato d’incontrare.
Il mio Castello è la terra castellana, con i suoi magnifici comuni fra cui quelli finora non nominati – Ariccia, Colonna, Genzano di Roma, Grottaferrata, Lanuvio, Lariano, Monte Compatri, Monte Porzio Catone, Nemi, Rocca Priora – corona di perle sul capo di Roma.
Testo integrale per Quaderni Castelli di Scrittori BASC Frascati
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