Carta…sì, No?!
La vita economica-commerciale italiana locale – zoomando, per esempio, sui Castelli Romani, importante area economica e turistica – è caratterizzata da una sorta di “indifferenza”: la scarsa diffusione del servizio di pagamento elettronico, soprattutto via carta di credito che permette di più e meglio ammortizzare il debito. I cittadini sono costretti sempre a circolare mantenendo nelle proprie tasche somme di denaro contante, con tutte le noie e i rischi connessi, all’indomani poi di solite note brutte rapine. I tabaccai sono le vittime eccellenti che hanno manifestato tutta la loro rabbia a Roma con l’eloquente slogan “Siamo i Bancomat della criminalità”. Molti esercizi hanno ancora “difficoltà” a mantenere aperto il circuito di pagamento elettronico con la carta di credito, ma la colpa è però ora delle aziende eroganti il servizio. Queste hanno manifestato nel mercato Italiano una particolare «difficoltà politica» a contenere i costi ordinari del complessivo servizio bancario-finanziario, oppure si tratta di semplice ingordigia speculativa. Tutto questo è stato determinato dalla cronica assenza, nel circoscritto mondo bancario, di un saggio regime di libero mercato, di efficienza e qualità del servizio offerto. Il costoso sistema è determinato forse da sovradimensionamento (“dopato”) sul piano delle forze umane impiegate da retribuire e dalle eccessive retribuzioni dei dirigenti aziendali. Queste aziende, però, mai fanno mancare le risorse per sostenere la promozione della loro immagine, attraverso noti e costosi volti del cinema. Al pettine tornano dunque le insindacabili e indiscutibili responsabilità politiche dei banchieri, dei Cda delle banche e degli istituti finanziari e assicurativi nel venire incontro e sostenere la buona e saggia vita civica e civile, l’economia e il commercio italiano, provato anche da una concorrenza selvaggia del dumping e dei centri commerciali. E qui la responsabilità cade sui governi nel pianificare la crescita e sviluppo urbano e territoriale, purtroppo ancora arrendevoli all’economia speculativa, “affaristica”, intossicata di “grandi numeri”.
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