Caro Omero.. giù la maschera!
Caro Omero, nel mondo odierno vi è poco spazio per la sensibilità e l’interazione veritiera in contrapposizione alla velocità, figlia della tecnologia e dell’adattamento umano alla globalizzazione. Ma dove porterà questa frenesia estrema di vivere o, meglio, di sopravvivere? Il lavoro, il doppio lavoro, la società, la famiglia e lo sport, soffocano costantemente la persona.
Tutti questi elementi creano, nella individualità, l’incapacità di indossare i veri abiti, di spogliarsi, anche se solo per alcuni minuti, della maschera che cela le persone nel momento della ribalta. Se Durkheim sottolinea la conflittualità fra individuo e società, riflettendo su quanto il primo sia sottomesso alla seconda, se Parsons ritiene che le norme e i valori debbano essere interiorizzati dagli attori sociali per la stabilità del sistema, Mead sostiene che l’influenza della società sull’individuo si manifesta nello stesso pensiero. Secondo Mead imparare il linguaggio, descritto come interpretazione fornita dalla società, non implica solo imparare dei simboli – associare quindi segni ad eventi – ma il reagire alle diverse situazioni quotidiane: presentarsi ad una persona sconosciuta, stringere la mano, fare un sorriso e salutare a fine conversazione. Per Mead tutto questo è frutto del contenuto specifico: la capacità di definire la propria identità in relazione al contesto sociale in cui si è immersi. Soltanto nei momenti in cui si è soli, sapendo di non essere osservati, ci si spoglia di ogni copione e si abbandonano tutti i ruoli sociali che la vita impone. Ed è in tali occasioni che si pensa a quali maschere indossare, cercando di nascondere le proprie debolezze. Quello che sembra un momento di rilassamento in realtà coincide, nella vita teatrale al momento delle prove, con il retroscena. In mancanza di un dialogo interiore, la domanda sorge spontanea: quando si è veramente se stessi?
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