“Caro George” chiude la rassegna dedicata al teatro onosessuale
Si è chiusa lo scorso 8 giugno con “Caro George” la rassegna “Scenari del Teatro omosessuale” curata da Rodolfo Di Giammarco. “Caro George”: un spettacolo di Federico Bellini, la mise en espace con Giovanni Franzoni e la regia di Antonio Latella, è andato in scena sul palco del Teatro Argentina di Roma, precedendo la proiezione del film “Un chant d’amour” di Jean Genet.
Lo spettacolo è ambientato a Parigi. Nell’ottobre del 1971, a Parigi, una retrospettiva consacra Francis Bacon come uno dei più grandi pittori del suo tempo.
Alla vigilia della mostra, George Dyer, amante e modello dell’artista irlandese, si suicida nella stanza d’albergo che ospitava entrambi.
Davanti ai dipinti che raffigurano George, Bacon rivive la relazione con il compagno, in un momento in cui trionfo artistico e fallimento esistenziale si confondono, diventando anch’essi, inevitabilmente, materia del dipingere. Qui la cosa forte è la potenza del canto, un canto-testamento che ricorda il film Un chant d’amour di Jean Genet. C’è un rapporto diretto con la morte, sembra di stare davanti a una roulette russa, non sai se e quando il proiettile verrà sparato. E di genettiano, in Caro George, c’è il gusto del monologo santo e assassino, col protagonista che si scinde in due ruoli, e prima è Francis Bacon e poi s’identifica con la figura del suo amante. Con in più, direi, il senso del rischio e l’aura di fascinazione del poema Il funambolo scritto da Genet nel 1957, dedicato ad Abdallah Bentaga, giovane artista di circo che l’autore aveva conosciuto sul finire dell’anno prima, sottoponendo l’acrobata a uno spietato allenamento da funambolo nel corso delle loro interminabili peregrinazioni per l’Europa. Più tardi, nel 1959, nonostante una rovinosa caduta che richiese un intervento al ginocchio, Abdallah presentò il numero che Genet aveva ideato per lui al Circo Orfei e fu scritturato per una tournée in Kuwait, dove una nuova caduta segnò la fine della sua carriera, facendo dire tempo dopo a Genet «Tutto è andato in malora», tanto che il giovane nel 1964 inghiottì un flacone di Nembutal e si tagliò le vene. Anche George Dyer, partner e modello di Francis Bacon, considerò una “caduta” il fatto che l’artista amante non lo portasse con sé alla vernice della sua retrospettiva parigina, lasciandolo in albergo. E quando Bacon tornò nella stanza dell’hotel lo trovò morto suicida. Questione di ego, di ossessione artistica. Genet dipinge con la penna, Bacon dipinge coi colori, e le loro opere hanno in comune visceralità e intellettualità. Con esiti emozionanti, impressionanti, tragici.
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