Cara Emergenza
In un interessante articolo apparso su «Megachip», Mario Martini, geometra specializzato nella prevenzione dei dissesti idro-geologici, elenca con precisione le cause e le responsabilità dei disastri che nelle ultime settimane hanno stravolto diverse regioni italiane. Tra queste spiccano la cementificazione selvaggia che ha portato ad uno spropositato consumo di suolo e un’urbanizzazione estesa e confusa, l’abusivismo edilizio (che solo in Campania conta 60.000 case abusive costruite in un decennio), l’alterazione delle dinamiche naturali dei fiumi, l’estrazione illegale di inerti e il disboscamento dei versanti collinari e montuosi. Inoltre oggi incide la minore presenza di contadini che in passato svolgevano un ruolo importante nelle campagne, pulendo i rivi e i torrenti da ciò che poteva far esondare i corsi d’acqua durante piogge torrenziali e allertando le comunità in caso di pericolo.
Senza considerare che i 500 millimetri di pioggia caduti in poche ore in Liguria potrebbero avere a che fare con preoccupanti cambiamenti climatici a livello globale. Le fragilità idrogeologiche del territorio italiano sono state fotografate approfonditamente dall’indagine Ecosistema Rischio 2010, realizzata sotto forma di questionario da Legambiente e dal Dipartimento della Protezione Civile. L’indagine, cui ha risposto il 37% (2.053) delle amministrazioni considerate a più alto rischio idrogeologico dal Ministero dell’Ambiente e dall’UPI, è servita a valutare al contempo quanto fatto dalle varie amministrazioni locali per la prevenzione e la mitigazione dei rischi. Il rapporto evidenzia una larga cementificazione lungo i corsi d’acqua e a ridosso di versanti franosi: nell’82% dei comuni sono presenti abitazioni in aree golenali, in prossimità degli alvei e in aree a rischio frana, nel 31% dei casi sono presenti in tali zone addirittura interi quartieri. Nel 54% sono presenti fabbricati industriali in aree esposte al pericolo di frane e alluvioni che possono comportare lo sversamento di prodotti inquinanti nelle acque e nei terreni e nel 19% sono presenti persino strutture pubbliche sensibili come scuole e ospedali. Complessivamente si può stimare che ogni giorno nel Paese ci siano oltre 3 milioni e 500 mila cittadini esposti al pericolo di frane o alluvioni. Dei 6633 comuni caratterizzati da aree ad alta criticità idrogeologica, il 43% non si adopera nella prevenzione o nella mitigazione dei rischi e solo il 41% è dotato di sistemi di monitoraggio che consentono di dare l’allarme. Il 6% dei comuni ha avviato azioni di delocalizzazione di abitazioni dalle aree esposte a maggiore pericolo e il 3% di delocalizzazione di insediamenti industriali. In rari casi si è provveduto alla rinaturalizzazione delle aree di espansione dei corsi d’acqua e pochissimi comuni hanno deciso di rimboschire i versanti montuosi e collinari franosi o instabili. La sconsiderata gestione del territorio perpetrata negli anni e le insufficienti azioni di prevenzione hanno portato ai prevedibili disastri verificatisi in Liguria, Lazio, Toscana, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Calabria, Campania, Sicilia, Emilia Romagna, in aree dove dei semplici temporali possono causare danni, problemi alla popolazione e vittime. L’ultimo rapporto di Legambiente sulla Liguria conta 232 comuni, più del 98% del totale, in cui sono presenti aree ad elevata criticità idrogeologica. Oltre a tanti piccoli comuni anche i quattro capoluoghi di provincia sono considerati ad alto rischio, infatti il territorio ligure è particolarmente compromesso dal fatto che il 90% della popolazione risiede nella fascia costiera (5% del territorio). In Sicilia i comuni a rischio sono 273 (sette su dieci), in Veneto sono 327, mentre tutti e 92 comuni umbri sono stati classificati a rischio idrogeologico, tra questi 40 sono a rischio frana, uno a rischio alluvione e 51 a rischio sia di frana che di alluvione. Una consolidata abitudine italiana vuole che lo Stato in caso di emergenza stanzi milioni di euro (650 solo per le emergenze del 2010) e continui a tagliare sul fronte della prevenzione e della messa in sicurezza delle aree a rischio, un po’ come dire che restiamo con le mani in mano in attesa della prossima cara emergenza.
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