Caproni e ‘caproni’
Ho cercato, fino ad ora, di non iscrivermi al gruppo dei commentatori del caso Caproni: la sorpresa o addirittura lo ‘scandalo’ suscitato dal fatto che una delle tracce del tema per la Maturità fosse costituito da una poesia di Giorgio Caproni. Ma ancora oggi, domenica 2 luglio, su un talk de La 7 egregi professori, giornalisti e studenti continuano, con ostinazione, quasi a vantarsi di non conoscere il poeta e a ‘scornarsi’ sul tema, andando per giunta fuori tema. Sembra opportuno, “per quanto sta in me”, argomentare qualcosa in difesa della ‘onorabilità’ della poesia, partendo da una citazione personale, che, essendo funzionale allo scritto, credo possa essere perdonata. Per qualche anno ho contribuito a realizzare una rassegna intitolata “Poesia a doppia pista” nella quale venivano presentate diverse e particolari voci poetiche, a contrasto o in assonanza. In una serata del 2013 erano in scena Kostandinos Kavafis e, appunto, Giorgio Caproni. Da una parte le notissime “Aspettando i barbari”, “Itaca” e “Per quanto sta in te”, dall’altra le sconvolgenti “Versi controversi”, “Träumerei” e, lupus in fabula, “Versicoli quasi ecologici”. In altre serate, molto illustri sconosciuti ai più: Szymborska, Zanzotto, Sarajlić, Cvetaeva … Naturalmente niente di male a non conoscere Caproni perché, come è stato detto giustamente dai professori, non si può essere onniscienti (io personalmente sono ignorantissimo di cose fondamentali come la matematica, la fisica e tanto altro, avendole praticate solo scolasticamente o, per il tanto altro, per niente) e ognuno ha le sue basi e le sue inclinazioni. Però due considerazioni importanti, di metodo e di sostanza, devono essere fatte. Non si può dire che l’aver citato Caproni è improprio “perché non si è studiato nel programma”, per due motivi. Il primo è che la traccia verteva sull’ecologia, e la citazione poteva essere pure di Piedone l’Africano (alias Bud Spencer) o e del più noto Pinco Pallino; merito degli estensori averla nobilitata con uno dei maggiori poeti del Secolo Breve, che per essere tale ci ha ‘allungato’ parecchi geniacci. Il secondo è che non si può essere solo allineati in fila per tre, come dice il Cantautore, e non si può vestire solo griffato; le magliette sono buone anche senza etichetta e l’originalità di inventarsi un commento fuori dagli schemi sarebbe molto apprezzabile e di per sé educativa, evitando di mirare il famoso dito mentre la “pallida luna” si smarrisce. Infine c’è la questione molto grave e mai risolta di due detti simili, per i quali andrebbe ‘sparata’, non solo gridata, vendetta. Sono “fare filosofia” o “fare poesia”, sottintendendo perdere tempo in cose inutili o poco comprensibili. Ebbene, la poesia e la filosofia sono due esercizi intellettuali umani essenziali, nel senso che sono l’essenza, l’architrave di ogni sapere; senza di esse i caproni, avvolti nella notte dell’istinto animalesco, si scontrerebbero all’infinito, senza viaggio e senza approdo di sorta. La filosofia ‘ragiona’ e ordina le cose, una speciale cassetta degli attrezzi per risolvere domande e problemi. La poesia con l’intuito, la sintesi, e la ‘e-semplificazione’ della metafora arriva addirittura molto prima, nel tempo e nella precisione del colpo, al cuore e alla mente del sistema uomo. Per fortuna esse, a dispetto dei battutisti e a loro insaputa, sono sempre a fianco dell’uomo. Sarebbe comunque meglio che la cultura paludata non rimanesse circoscritta ai poeti o agli intellettuali col bollino, e il diffuso popolo di internet o dei ‘Social’ non passasse il tempo a scambiarsi la foto del bambino sul vasino o la ricetta, che so io, della finta mucca all’indiana, tanto per inventare e ‘ossimorare’ un po’. Ogni tanto, e basterebbe, si potrebbe digitare “poeti africani”, “poeti australiani” o “iraniani” e via di questo passo per scoprire universi dirompenti e così ‘fotografici’ da superare qualunque studio o reporter. E, vistomi ormai ‘incapronito’ anch’io a difendere la Poesia, concluderei veramente in bellezza con “Amore dopo amore” di Derek Walcott che, con un ardito volo pindarico e, se volete, con una raffinata introspezione psicologica, incrocia il “conosci te stesso” col problema dello straniero e svela e suggerisce, in una forma lirica altissima, che la base di partenza per l’approccio ai problemi è proprio un esame-rinascita della coscienza, un abbandono del pregiudizio unito a un cambio di prospettiva. “Tempo verrà / in cui, con esultanza, / saluterai te stesso arrivato / alla tua porta, nel tuo proprio specchio, / e ognuno sorriderà al benvenuto dell’altro, / e dirà: siedi qui. Mangia. / Amerai di nuovo lo straniero che era il tuo io. / Offri vino. Offri pane. Rendi il cuore / a se stesso, allo straniero che ti ha amato / per tutta la tua vita, che hai ignorato / per un altro che ti sa a memoria. / Dallo scaffale tira giù le lettere d’amore, / le fotografie, le note disperate, / sbuccia dallo specchio la tua immagine. / Siediti. È festa: la tua vita è in tavola.”.
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