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Capodanno flambé

Ottobre 27
15:19 2010

Dall’interno della camera da pranzo già si cominciavano a sentire i primi fragorosi boati e si vedeva qualche razzo impaziente che puntava dritto il cielo ma si arrendeva quasi subito e si lasciava dietro solo una scia fumosa. Diego si distrasse un momento per guardare fuori della finestra; una coppia non più giovanissima e tutta imbellettata si apprestava a salire in macchina e raggiungere il luogo dove festeggiare la nottata. Una manciata di ragazzini si lanciavano addosso dei petardi, ridevano e poi scappavano a casaccio in direzioni diverse. Un signore anziano passeggiava rispettoso sul marciapiede e ogni tre o quattro passi si tirava regolarmente su il bavero del cappotto per coprirsi dal freddo secco e pungente.

Non invidiava nessuno di quei personaggi Diego anzi, intellettualmente si poneva nei loro confronti come si porrebbe un padre affettuoso verso il proprio figliolo che combina una marachella; li accettava serenamente senza criticarne l’atteggiamento, li tollerava semplicemente, “che si godano questa serata di festa” pensò tornando ad apparecchiare il tavolino. Lui aveva ormai la sicurezza che avrebbe trascorso un capodanno speciale, contento di non spendere soldi in discoteca, né di rischiare risse o bottiglie in testa nelle feste di piazza. Avrebbe vissuto quella notte di fine anno in compagnia delle sue due grandi passioni: le belle donne e la buona cucina.
Perché Francesca non solo aveva accettato di trascorrere la serata con lui, addirittura si era offerta di portare lei la cena; “il cenone di nonna Giulia è una tradizione antica nella mia famiglia, non lo perderei per niente al mondo; magari ti raggiungo dopo” aveva risposto Francesca al primo approccio di Diego al telefono.
“Beh…se è così importante, porta anche lui!” aveva aggiunto Diego dopo aver incassato quel rifiuto. A Francesca piacque come risposta, per due motivi; primo perché lui si era rivolto al cenone della nonna come se questo fosse un essere umano, e poi perché sapeva che il paffutello Diego era un amante della buona cucina e sua nonna era una cuoca formidabile.
E così Francesca aveva accettato e a Diego ora non rimaneva altro che preparare l’atmosfera, mettere su un bel disco e apparecchiare. Solo la candela al centro del tavolino sarebbe rimasta spenta, l’avrebbe accesa un attimo prima dell’arrivo di Francesca, quando sarebbe stato sicuro che quel suo desiderio di cenare insieme alla donna più dolce di quel suo inverno si sarebbe avverato effettivamente.
L’orologio a pendolo segnava le ventuno e quattordici e Diego dopo un rapido calcolo mentale non riuscì a sapere se Francesca avrebbe dovuta considerarla una preda da classificare nel vecchio o nel nuovo anno.
“Un’ora la cena, un’altra per entrare in intimità…”, pensò “…sì, forse è meglio se me la faccio prima di mezzanotte, quest’anno è stato particolarmente magro in fatto di conquiste…”.
Lui era un playboy in borghese, uno di quelli che pur non avendo i requisiti giusti, aveva comunque un discreto successo con le donne; non aveva un pacco di soldi, non vestiva con abiti firmati, non possedeva la Porsche, non teneva il braccialetto d’oro e non aveva un fisico da paura. Era invece ironico, era fantasioso, era imprevedibile ed era paffutello, per via della sua passione per i dolci, le tagliatelle e chi più ne ha più ne metta.
Dopo aver confermato con una rapida occhiata che tutto era pronto si diresse verso l’impianto Hi-Fi e passò una bella mezz’ora a selezionare i dischi che avrebbero rappresentato la colonna sonora di quella nottata. Non fu per niente facile; gli U2 erano troppo conosciuti, Gazebo gli dava una carica eccessiva, Joe Cocker aveva una voce rauca e sexy al cui confronto la sua sembrava ridicola e fioca. Alla fine si decise a metter su qualcosa del buon vecchio dandy Brian Ferry, un misto di classe ed energia.
Si affacciò di nuovo alla finestra; gli schiamazzi e i boati erano diminuiti, tutti erano impegnati col cenone e solo verso le ventidue e trenta si sarebbero ricominciati a sentire, in una progressione di euforia e polveri piriche che sarebbe esplosa a mezzanotte. Provò ad ingannare l’attesa passando in rassegna le delizie culinarie che Francesca gli aveva promesso: antipasto di salamini, ravioli al vapore, gamberoni, praline d’alice e infine il capolavoro, la sfoglia crema e cioccolato di nonna Giulia; si passò la lingua sulle labbra proprio quando una bomba carta si fracassò sotto il cortile, svegliandolo dalle sue fantasie. Diego si voltò con noncuranza, ventidue e dieci, l’orologio non aveva nessuna intenzione di essere clemente, continuava a scandire il suo conto alla rovescia, imperturbabile. Lui fu costretto quindi a riprogettare il suo futuro e quello di Francesca: “Poco male, vorrà dire che farò l’amore con lei che sarà già il nuovo anno…meglio così, l’anno horribilis che ho trascorso non avrà un seguito”.
Dopo un’altra mezz’ora Diego cominciò a preoccuparsi seriamente, qui non era più in dubbio quando avrebbe fatto l’amore con Francesca, erano incerte molte più cose. Perché se Francesca non fosse arrivata di lì a pochi minuti lui avrebbe perso sì la compagnia della donna più dolce dell’inverno, ma anche la possibilità di reinventarsi in pochi istanti la festa di fine anno. E poi avrebbe perso anche gli auguri degli amici, il ballo del mattone in qualche discoteca, “…la sfoglia di nonna Giulia!” gridò senza freni, come se quella fosse la mancanza più importante per lui in quel momento.
Camminò su e giù lungo l’appartamento, aveva bisogno di un’idea, mandò un messaggino col cellulare per fare gli auguri ad un amico che non sentiva da due anni. Quello non gli rispose neanche, probabilmente aveva capito che quello di Diego era solo un tentativo mascherato di farsi invitare all’ultimo momento a qualche potenziale mega-party.
La sua pancia cominciò a borbottare, Diego aveva fame ma non volle stuzzicare niente perché si era lavato i denti e poi nutriva ancora la speranza di trascorrere la serata con Francesca.
DRRRRRRRIIIIINNNNNNN!!!!!
Alle ventitré e venti il campanello invitò Diego a sorridere; si aggiustò il colletto della camicia, afferrò l’accendino e con questo accese la candela al centro del tavolino, “Arrivo Francesca!!”, aprì la porta e si trovò davanti la figura immensa e autoritaria di Pino, il padrone di casa che aveva affittato l’attico a Diego.
“Non me chiamo Francesca, quante volte te lo devo dire?? Me chiamo Pino, ma se me paghi tre mesi anticipati me poi chiamà pure Debborah coll’acca!”
Diego trasalì, non sapeva se essere più deluso o più imbarazzato e non riuscì a dire niente. Pino però era di buon umore e non lo lasciò lì ad arrovellarsi; “Te volevo fa l’auguri de buon anno Diego; se te serve qualcosa io e la mia signora stamo all’altra palazzina, dai Goretti”.
“Ah grazie, signor Pino, auguri anche a lei e alla signora…grazie, buon anno!”
Ma Pino evidentemente era su di giri quella notte e andando via gli dedicò un’altra frecciatina: “Comunque quanno t’ho detto de non fà feste dentro casa non me dovevi prende così sul serio….’na festicciola stasera la potevi pure organizzà….vabbè ciao e auguri!”
Diego richiuse la porta e fissò la fiammella della candela che tutta contenta si esibiva nel classico ballo brasiliano delle feste di capodanno.
Il vecchio Brian invece aveva già intuito da un pezzo il suo stato d’animo e diceva di essere, anche lui, uno schiavo d’amore.
Si sedette sul tavolino, a quel punto era chiaro che Francesca non sarebbe più venuta, neanche lui sarebbe venuto, da qualche altra parte solo altre coppie sarebbero venute, magari insieme, per festeggiare l’arrivo del nuovo anno tra effusioni e orgasmi. Diego non aveva più voglia di festeggiare, da indimenticabile il suo capodanno si era trasformato in indimenticabile. Per tutt’ altri motivi certo; per anni avrebbe voluto ricordare il viso e gli occhi da micetta di Francesca, per sempre avrebbe invece ricordato la solitudine e le battute sarcastiche di Pino.
La fiammella della candela sola sembrava non accorgersi della sua tristezza; il disco aveva finito di girare, il pendolo rintoccava sinistri e inappellabili colpi, fuori della finestra luci e suoni gli ricordavano ancora di più la festa degli animi alla quale lui non era stato invitato.
Diego cominciò a fissare con interesse quella fiammella, era l’unica fonte di calore che gli era rimasta in quella notte da zero gradi. Calore umano, che nessuno poteva ormai più dargli: non un parente, non un amico, figuriamoci una bella donna.
La fiammella continuava la sua danza, incurante degli sguardi che Diego le dedicava con sempre più insistenza. Traballava a destra e sinistra, mossa al ritmo di chissà quale spiffero che proveniva da chissà quale sottoporta.
Poco prima della mezzanotte Diego si alzò, aprì il frigorifero e tirò fuori una mozzarella fredda e bianca, la scartò e la mise su un piattino. La mangiò con avidità sotto la luce della fiammella che illuminava a malapena la sua faccia scura.
Subito dopo lo scoccare del nuovo anno, divenne improvvisamente geloso di quella piccola candela che continuava a fremere. Era l’unica fonte di calore che gli era rimasta e poi voleva che nessuno si accorgesse che era solo in casa; non voleva far sapere che era rimasto solo l’ultima notte dell’anno e pensò che, dalle altre finestre del cortile esterno, anche quella misera lucina fosse un indizio compromettente della sua serata balorda. Ma di spegnerla non se ne parlava proprio. Diego la voleva con sé, la sentiva viva e calda, a differenza della mozzarella.
La fiammella invece aveva altri progetti; vedeva fuori della finestra i suoi simili che svolazzavano, si rincorrevano, facevano rumore e lei invece era trattenuta nel piccolo appartamento di un trentenne triste e solitario.
Diego si rese conto del nervosismo della sua unica compagna e, nel delirio, provò
a farla sentire a suo agio; inforcò un pezzetto di mozzarella con la forchetta e la offrì alla fiammella mettendola sopra la candela. Quella sembrò non gradire, ma intanto lui potè mangiare un boccone di mozzarella riscaldato.
Guardò una mezz’ora lo spettacolo pirotecnico affacciato alla finestra, poi chiuse tutto e preferì andare a dormire per evitare di addossare al suo anno appena nato una grossa dose di noia e solitudine.
La fiammella però non la spense, preferì portare la candela con sé; la posò con dolcezza sul comodino al fianco del letto, le disse “buona notte” e si addormentò sorvegliato dalla luce di quella che era stata la sua unica amante nella serata più lunga dell’anno.
Fu così che dopo quegli affettuosi preliminari Diego non le dedicò più alcuna attenzione e quella si sentiva usata e si stava spogliando, da sola, del vestito rosso e cerato che l’avvolgeva. Ma ci fu, in un preciso istante di quella notte, uno spiffero di vento più forte o una lievissima scossa del palazzo provocata da un ultimo petardo; la candela cadde sulla giacca che Diego aveva incautamente abbandonato ai piedi del letto, poi si alzò orgogliosa fin sopra l’armadio in legno e dall’alto attaccò Diego che ancora dormiva beato. Si sviluppò un incendio devastante, accorsero vicini di casa, passanti, curiosi, Pino e la moglie insieme ai Goretti.
I vigili del fuoco riuscirono a domare l’incendio ma non le ire di Pino che inveì contro il povero Diego, lo denunciò e gli intimò di pagare i danni che aveva causato col suo comportamento irresponsabile. Lui però sembrava vivere in un mondo a parte, tutte quelle critiche non lo scombussolarono per niente; solo quando un vigile del fuoco lo prese in disparte “..stia attento a portarsi a letto le candele, vede quanto può essere pericoloso!” gli disse, allora Diego quel pompiere lo vide come un amico, l’unico in mezzo a tanti. La vicenda assunse proporzioni gigantesche, perfino il telegiornale regionale vi dedicò un ampio servizio e milioni di persone vennero a conoscenza del triste fine anno che Diego aveva trascorso.
Pochi giorni dopo venne il suo compleanno e gli amici decisero di fargli una festa per tirargli su il morale e fargli dimenticare l’accaduto. Fu invitata anche Francesca, che nel frattempo si era scusata con Diego addossando scuse più o meno banali per non essere potuta andare da lui l’ultima sera dell’anno. Gli disse che era stata “presa in ostaggio” da un gruppo di amici ed era stata portata ad un party in tutta fretta e lei non aveva avuto neanche il tempo di fargli una telefonata per avvertirlo.
A casa di Marco scherzarono e organizzarono giochi fino a quando non venne portata una grossa torta di compleanno a Diego, comprensiva delle trenta candeline; tutti si sistemarono con lui dietro al tavolino con la torta, Francesca e un’altra amica lo abbracciarono. Qualcuno si offrì volontario per fare una foto ricordo e invitò a gran voce Diego ad esprimere un desiderio e poi a soffiare sulle candeline. Ma non si sa bene, forse fu il flash della macchina fotografica, forse fu l’imbarazzo del momento, fatto sta che Diego si voltò alla sua sinistra e invece che sulle trenta candeline soffiò con vigore sulla faccia di Francesca che se lo teneva abbracciato stretto; quella si indispettì, si staccò da lui e gli stampò un fragoroso schiaffo sul viso provocando lo stupore e l’ilarità di tutti i presenti. E lo stesso Diego poco dopo, tornando dal bagno dove si era inumidito la guancia arrossata, rimase stupito che il desiderio che aveva espresso si fosse realizzato così presto: i suoi amici gli avevano lasciato la fetta di torta più buona, quella con la ciliegina sopra.

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