Capitalismo: una storia d’amore
Michael Moore attacca di nuovo, in un documentario sulle cause e le colpe della crisi economica nel seno del sistema capitalista. La caccia questa volta è più grossa. Il suo obiettivo non è più ridicolizzare Charlton Heston e i suoi colleghi dell’Associazione Rifle in favore delle armi, come ha fatto in Bowling for Columbine, o denunciare i vincoli tra la famiglia Bush e la famiglia Bin Laden, come ha fatto in Fahrenheit 9/11. Ora Moore spara a pallettoni contro le multinazionali, le banche e la borsa, per scoprire l’origine dell’attuale crisi. Il suo obiettivo, ammette, non è centrarsi in un individuo, una società o un problema in concreto, ma arrivare fino al panorama che li unisce. Questa pellicola attacca il sistema capitalista, che permette e incoraggia e quello che è più importante, garantisce questa corruzione. Assediando i congressisti e i senatori, appostato nelle entrate delle grandi imprese, per rendere evidente il loro potere esecutivo, o intervistando le persone responsabili di quest’unione economica, il cineasta usa tutti i trucchi possibili per vincere e convincere. Marce musicali e immagini di pellicole classiche, utilizzate come commento alla sua costante presenza nello schermo, sono tratti inconfondibili del suo stile. Flagello abituale dei Repubblicani, Moore incolpa anche i Democratici, affermando che entrambi i partiti formano parte della stessa trappola di cui sono vittime i votanti americani. “Nel mondo non ci sono sufficienti toilette disinfettanti per pulire Washington”, sentenzia, disegnando un panorama oltremodo avvilente.
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