Calcata, luogo di magia Le molte facce dell’antico borgo
Salendo a Calcata dalla strada che proviene da Mazzano Romano, specialmente se si arriva una mattina d’inverno, non è inusuale trovarsi davanti un paese sospeso nell’aria. Si intravede un insieme di case, con i camini fumanti, in una indefinita atmosfera in cui Calcata sembra galleggiare tra le nebbie della valle. Confusi tra cielo e terra, nel baluginio di qualche timido raggio di sole, si intuiscono i profili dei tetti, si respira l’odore di legna che fuoriesce dai comignoli. In basso, sotto un velo nebbioso ancora più denso, si sente l’ansito del fiume. Sopra il fiume una mano di gigante ha tratteggiato il corso dell’acqua, con una pennellata di vapore: la nebbia rispecchia sospesa l’alveo del Treja.
I rari abitanti dicono scherzando che per piacerti, in un posto così ci devi essere nato. Ma forse non è vero. Devi amare il senso di mistero e un po’ perturbante dell’ignoto, o più semplicemente ti devi adattare all’imprevedibilità del futuro, di cui la nebbia è metafora. Sei ripagato dall’incanto fiabesco, fantastico, di un luogo senza tempo in cui forse tutto può apparire, basta non avere fretta.
La magia di Calcata è questa; questa unita all’immaginazione di chi la conosce, o la scopre per la prima volta. Il senso di mistero e quasi di spaesamento può cogliere il visitatore più tecnologico: siamo a mezz’ora da Roma, immersi in boschi millenari, i cellulari non prendono, le automobili non entrano. Nel borgo si gira solo a piedi, si parla spontaneamente a bassa voce, si ammira il paesaggio, come non sempre capita di fare. Gatti sornioni e ciottoli di fiume ci ricordano l’origine delle cose. I colori dei tufi delle case sono la clessidra che misura il tempo, grigi la mattina, color oro al tramonto, caldi e avvolgenti la sera.
Il borgo conserva intatta la sua struttura medievale. Si entra dal basso attraverso una doppia porta scavata nella roccia, che conduce all’unica piazza. Da lì si irradiano i vicoli che portano agli strapiombi della rupe, tutta scavata nel sottosuolo con una miriade di passaggi, cantine e, a volte, tombe. Le sue antichissime origini rimandano al popolo falisco, coevo degli etruschi, che qui fu all’apice della sua civiltà tra il VII e il VI secolo a.C.
Durante il fascismo il borgo doveva essere abbattuto per problemi statici, fu risparmiato per il sopravvenire degli eventi bellici. Fu consolidato e salvato, solo dopo che negli anni Sessanta la popolazione locale fu spostata a Calcata nuova. Il borgo, ormai abbandonato, per paradosso da allora ha cominciato a rivivere, ma solo per la presenza di persone straniere. Divenne luogo d’elezione di intellettuali, artisti, scrittori e artigiani che, con i loro atelier ricavati nelle case di tufo rosso, portarono una ventata anticonformista e un po’ bohémien.
Calcata è un luogo insolito, silenzioso e stimolante. Raro nel pur ricco panorama della Tuscia viterbese. Per una visita non bisogna avere fretta e possibilmente venire nei giorni feriali. Gustare panorami, atmosfere e ospitalità potrà essere ancora più rilassante, assaporando, secondo le preferenze, i piatti dei piccoli ristoranti che punteggiano i vicoli.
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