Burn After Reading. Commento all’opera di Ethan e Joel Coen
Non ho mai visto un film dei fratelli Coen che mi appassionasse. L’ultimo che ho visto è Burn After Reading – A prova di spia, del 2008. L’ho trovato noioso, pieno di sviluppi prevedibili, le cui scene più emozionanti sono un colpo di pistola in faccia con molto sangue e una serie di martellate in testa ad un uomo attempato, con la pretesa poi, del tutto bislacca, di creare un po’ di tensione alla Dostoevskij e far ridere alla Imamura.
No, il tono sopra le righe della recitazione la trovo una delle cose più insipide che abbia visto, assieme a film indipendenti fatti a costo zero.
Le tecniche cinematografiche sono fondamentali perché un film tocchi la pancia e il cuore dello spettatore. In Burn After Reading tutte le tecniche sofisticate (sono moltissime) finiscono per sostenere un sacco vuoto. È un film che scimmiotta i thriller, i film demenziali, d’azione, splatter, psicologici e drammatici, senza mai toccare i vertici emotivi di queste poetiche attraverso una sua forma originale sincretica.Inquadrature e movimenti elaborati della mdp alla Antonioni, set certosini alla Visconti, fiotti di sangue alla Rodriguez, conversazioni alla Woody Allen, trovate ad effetto alla Almodóvar, rincorse e controcampi alla Hitchcock e totali rallentati alla Polanski sono alcuni degli espedienti retorici che in questo film non servono a nulla, se non a far vedere che li si sa usare e a impressionare un pubblico ingenuo. Ad aggravare la situazione è il casting, che si avvale di attori come George Clooney, John Malkovich, Frances McDormand, Tilda Swinton e Brad Pitt, messi lì in locandina per far cassetta, e che sembrano recitare ognuno per conto proprio il ruolo di ridicolarizzazione di se stessi, al punto da risultare ridicoli soprattutto loro stessi in quanto attori.Certo, se un cast del genere fosse stato nelle mani di Ford, Coppola o Tarantino essi avrebbero saputo, lo hanno più volte dimostrato, tirarne fuori qualcosa di prezioso, ma nelle mani di Ethan e Joel Coen tutti, tranne la bravissima e composta Swinton e la brava e calibrata McDormand, risultano stucchevoli nel loro tentativo di lavorar da soli nella direzione di un istrionismo di cui non hanno le corde vibranti, ma solo una cassa che risuona sorda e stonata come una zucca vuota essiccata. Il discorso è un po’ diverso per Malkovich, a cui forse hanno detto che si trattava di eposodio di Dexter.
La pseudodenuncia politica del film è un’altra scempiaggine che non si sa bene che stia lì a fare, se non perché è trendy. A Hollywood il film non è piaciuto (non ha avuto neppure una nomination agli Oscar), e questo è un merito della competizione che troppo spesso propone pellicole di poco pregio. Se si pensa che la realizzazione di Burn After Reading è costata 37 milioni di dollari, si ha un’idea di come i soldi girino a iosa, ma per produrre pellicole insignificanti, strapubblicizzate dai sistemi di distribuzione, fino a raggiungere un incasso di 161 milioni di dollari: a tanto è ammontato quello di questo film.
Si tratta di cinema di intrattenimento, da frequentare sgranocchiando popcorn, fatto per svagare gli uomini da una quotidianità più tediosa della noia del film stesso, e per passare una serata diversa dalle altre, che resti nella memoria almeno l’occasione mondana, l’incontro tra conoscenti, piuttosto che il film per cui si è comprato il biglietto. Non ho mai capito a cosa si debba l’enorme fama dei Coen.
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