Burkini: meglio un master in diritti umani
Escludendo la giornalista inglese, Nigella Lawson, per niente musulmana, che ha indossato il burkini, con suo grande divertimento, probabilmente, per non rovinare la sua pelle occidentale bianco-latte, chi sono le avvenenti signore che abbiamo visto in tivù tuffarsi abilmente nelle onde? Certo, non sono le badanti musulmane che popolano le nostre città. Sono modelle dal fisico perfetto che, a valutare le loro capacità natatorie, hanno già frequentato mare o piscine (non saprei dire con che abbigliamento).
É evidente, in questa tragica fine estate, che qualcuno ha pensato di rilanciare un prodotto, già esistente, della moda cosiddetta “halal” (o modest fashion) che muove molti miliardi nel mondo e di cui Torino è la capitale italiana.
La polemica, dunque, sul “burkini”, oggi, con tanti problemi che abbiamo, é ridicola.
Non c’è dubbio che debba, invece, essere vietato tutto quello che impedisce l’identificazione e non c’era bisogno del costume da bagno per capirlo!
L’interrogativo, però, di tanti benpensanti è: “Sono schiave le donne che lo indossano?”.
E chi lo sa!
Donne schiave -lo sappiamo bene – ce ne sono moltissime anche tra quelle che non hanno timore a spogliarsi.
Inoltre, la società occidentale (con il vecchio pensiero colonialista-imperialista) concepisce la liberazione della donna solo attraverso il modello donna bianca-occidentale, eterosessuale, laica o di religione cristiana. Forse, sarebbe il caso, in un mondo globale, di abbandonare l’idea che l’universo sia europacentrico e di smetterla di imporre i propri stili di comportamento!
Infine, le stesse femministe occidentali hanno sempre lottato contro la mercificazione del corpo della donna (ricordate la pubblicità delle caramelle che mostrava un bel sedere femminile?) e non possono sentirsi offese se qualche signora non vuole esibire apertamente il proprio corpo. Peccato che, dopo l’ultimo ventennio, in Italia, non se ne parli più molto: per tante ragazze usare il proprio corpo per ottenere denaro e carriera è ormai buono e giusto. Eppure, la prostituzione e la pornografia sono le armi base del dominio del maschio! (Qualcuno lo dice ancora qui, invece di complimentarsi con l’uomo “virile”?)
Di fronte a questi grandi temi è, allora, così importante come si vada al mare?
Intanto, andare alla spiaggia è un tipico uso nostro assai recente: una volta, abbronzarsi era disdicevole in quanto si diventava come i contadini che lavoravano al sole (e non persone superiori e benestanti).
La libertà della donna si ha, invece, nel chiuso delle case dove si vede se davvero esista con il compagno un rapporto alla pari. E più ancora sul posto di lavoro. In Italia, le donne rappresentano il 60% dei laureati, arrivando al traguardo prima e con valutazioni superiori rispetto ai maschi, il loro curriculum è più ricco di tirocini e stage. Nonostante ciò, a un anno dalla laurea, risultano meno occupate dei maschi (-7%) e in termini di retribuzione registrano guadagni inferiori del 30% a quelli dei laureati.
La donna deve sempre dare di più per dimostrare di essere brava, il maschio lo è già per nascita. Persino la medicina si sviluppa basando le proprie conoscenze anche farmacologiche sul corpo dell’uomo, aggiustando poi i risultati per le donne!
Non è, dunque, una questione di abbigliamento, è una questione di educazione: di tutti, maschi e femmine, italiani e stranieri, con un sovrappiù (master in diritti dell’essere umano) per il maschio di qualsiasi latitudine.
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