Buon Natale, papà! Buon Natale mamma!
Mi trovo a Collevecchio. Davanti al camino, sfoglio un album di fotografie. Sorrido vedendo le foto dei miei genitori.
Papà, Antonio Valeriano Pulimanti. 20 aprile 1992. Pasquetta amara. Quel giorno mio padre è morto. Ne è passato di tempo, ormai, ma il ricordo è ancora vivo. Bruciante. Proprio come allora. Se ne è andato all’ora di pranzo. Poco prima di addormentarsi, mi chiama. Sono le undici di una pasquetta amara. Maledetta. “Mariuccio, ho appena fatto un sogno. Mi sono spaventato un pò”, mi dice. “Vuoi una camomilla?” rispondo. “No. Stai qui. Ti ricordi quando eri piccolo, e ti raccontavo tutte le sere una storia per farti dormire?” “Sì” replico.” Ne vuoi sentire ora una?” “Ma, papà, sono grande per sentire ancora le favole” “Allora ti racconterò una storia vera” mi dice. “Ma le storie vere non finiscono sempre come vorresti tu”. “Non importa, Mariuccio”. L’abbraccio forte. Non fa in tempo a raccontarmi nessuna storia, si addormenta subito. Per l’ultima volta. Per sempre. Sul suo comodino, un libro di Neruda. Stava leggendo questa poesia prima che mi chiamasse. “… Si muero sobreviveme con tanta fuerza pura que despiertes la furia del pàlido y del frìo. Es una casa tan transparente la ausencia que yo sin vida te veré vivir y si sufres, mi amor, me moriré otra vez (.. Se muoio sopravvivimi con tanta forza pura che tu risvegli la furia del pallido e del freddo. E’ una casa sì trasparente l’assenza che senza vita io ti vedrò vivere e se soffri, amor mio, morirò nuovamente….)”. Ancora oggi, ogni tanto, mi torna in mente quella faccenda….. E questa cosa mi accompagna e stranamente non mi fa paura. Da quando papà non c’è più, mi sento ancor più legato a lui. Perché mi manca. Probabilmente è il segno di una volontà che ci vuole legati per sempre. Mi manca il suo umorismo, la sua acuta osservazione degli altri. Mi manca la sua educazione, la sua cultura che non esibiva mai. Mi mancano i giorni di Natale passati insieme a lui. Mi mancano le sue parole, i suoi messaggi, le sue battute con i tempi comici perfetti. Mi manca la sua faccia tonda, aperta e fiduciosa. Con un accenno di opulenza che lui per altro portava con molta leggerezza. Mi manca la sua stuzzicante ingenuità sempre pronta a rilevarsi in un sorriso. “La vita è solo un sogno.” Quella frase, le ultime parole di un uomo che credevo invincibile. Immortale. Mi manchi, papà.
Mamma, Ernesta Aloisi. 29 luglio 2012. Ricordo il dottore dell’ospedale San Camillo, col viso di falco, dirmi “sua madre è deceduta!”. Era stata operata per la rottura del femore. Un intervento perfetto. La fase post operatoria sembrava procedere regolarmente. Ma attorno alle sei di pomeriggio del giorno dopo, domenica 29 luglio, il suo cuore smetteva di battere. Non si sa da dove sia partita l’embolia. Mamma. Mi ha sempre difeso come una leonessa difende i suoi cuccioli, anche a costo di subire biasimi e critiche. Accendo la radio. “…poi mi viene in mente, se mi metto lì a pensare, il bacio di una madre come solo lei sa dare…”. Diamine, non potevano scegliere un altro momento per trasmettere “Come Gioielli” di Eros Ramazzotti! Mamma. Lei, che mi ha guarito i graffi e le ferite con una carezza magica. Lei, un posto caldo dove ho trovato sempre un abbraccio. Lei, con quell’odore di buono che mi faceva tornare bambino. Lei, che mi lasciava andare anche se avrebbe voluto tenermi stretto a sé. Lei, una canzone nella notte. Lei, una ninna nanna speciale. Lei, uno sguardo che non aveva bisogno di parole. Lei, quella che sapeva, sempre, cosa era la cosa migliore per me. Lei, quella mano che mi ha tenuto mentre traballando imparavo a camminare. Lei, il bum bum del cuore che sentivo appoggiando la testa sul suo petto. Lei, mamma, una parola: la prima che ho detto. Lei, mamma, un sorriso: il primo che ho visto. Lei, mamma, una voce: la prima che ho udito. Lei, mamma, un sapore: il primo che ho assaggiato. Lei, mamma, una culla: la prima che ho avuto. Lei, mamma, che soffrendo mi ha fatto nascere. Lei, che mi ha parlato nel cuore della notte. Quando tutto il mondo era addormentato. E nessuno, tranne me, udiva le sue parole. E, tenendomi fra le braccia, mi avvolgeva di un amore che aveva una forza inaudita. In questa foto avevo sei anni. “Vieni!” sembra dirmi, prendendomi la mano per condurmi a casa. Mi manchi, mamma. Queste sono le cose che ho perduto. Ricordi… Tornano sempre, anche quando non dovrebbero… Brandelli di passato. Stilettate di dolore, di angoscia.
Questo é il venticinquesimo Natale che papà non c’è più.
Questo é il sesto Natale senza mamma.
Ora vorrei tanto telefonare per dire, sottovoce, che li voglio sempre bene. Che li ricordo com’erano veramente: due genitori speciali… Intelligenti. Soprattutto, buoni.
Buon Natale, papà! Buon Natale, mamma! Quando mi addormento in poltrona, mentre nel camino il fuoco si spegne lentamente, sulle pagine lucide dell’album spiccano ancora le tracce delle mie lacrime.
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