Buon compleanno, Mr Joyce!
Il 2 febbraio scorso hai compiuto 130 anni, James Joyce. Sei stato, senz’ombra di dubbio, l’autore più influente di lingua inglese degli ultimi cento anni. Dalla tua scrittura derivano i maggiori filoni letterari a te contemporanei e successivi (delle generazioni mia, di Carter e di Beckett), non solo in narrativa, ma pure nella poesia lirica e nel dramma.
L’elenco di tali influenze, sui più diversi piani (dall’intreccio alla ritmica, dal simbolo al registro, dalla descrizione realistica agli orientamenti psichici dei personaggi, dal dialogismo intertestuale all’aggancio comparatistico col passato umano), è impressionante. Pensa solo a La terra desolata di Eliot, a La signora Dalloway di Woolf, agli essenziali dialoghi realistici di Hemingway, al dramma beckettiano, al linguaggio slacciato di Henry Miller, ad Otto e mezzo di Fellini, alla musica spiccatamente citazionista di Berio, alle polifonie subdole di Philip Roth. E oltre, poiché nell’espressione delle competenze linguistiche passive e nella coniugazione degli idioletti con la messa alla berlina dei limiti del linguaggio nessuno si è mai avvicinato ai tuoi conseguimenti.
Mostrandoci le invisibili porte a muro del linguaggio (e con esso delle filosofie) sei riuscito a farci amare la scrittura come una curiosa vasta dimora e a celebrare la vita come una lunga serie di reconditi passaggi, poiché in fondo, di là dai limiti espressivi rivelati con la tua ironia insuperata, sei stato in grado di mettere a nudo col tuo genio soprattutto i sentimenti di noi uomini nella nostra quotidiana sensibilità, nelle nostre passioni strampalate, illogiche e vitali, celebrando ciascuno di noi nell’uomo singolo, nella donna singola, come nel finale appassionato e toccante di Ulisse. Per te le filosofie, le grandi astrazioni della politica, delle tirannidi, dei totalitarismi, erano carta straccia e pericolosa (lo si sarebbe scoperto dopo, in modo ben più tremendo del 1914-18) su cui tracciare doverosamente con mordente sagacia gli scarabocchi perfetti d’una comicità contagiosa e tagliente (e per questo meritevole a lungo, mi duole dirlo, di censura). In letteratura, forse nell’arte stessa, c’è un prima e un dopo Joyce, e di questo, con umiltà, ti si ringrazia infinitamente.
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