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Brasile: punizione esemplare alla multinazionale Zara

Gennaio 17
11:14 2012

Brasile. In seguito ad accertate denunce di condizioni di lavoro schiaviste riscontrate in aziende che aveva in subappalto, la multinazionale dell’abbigliamento Zara dovrà investire 1,4 milioni di euro in servizi sociali e creare un fondo per risolvere le eventuali emergenze dei dipendenti.

Oltre, ovviamente, a «eliminare le condizioni di precarietà lavorativa delle imprese subappaltate».

Punizione esemplare, che dovrebbe diventare un modello contro tutte le violazioni subite ogni giorno dai lavoratori in ogni parte del mondo.

Il ministero del Lavoro Brasiliano in verità aveva chiesto a Zara un indennizzo di 8,2 milioni di euro per i «danni collettivi»: le lunghe indagini avevano scoperchiato un mondo sommerso di centinaia di lavoratori, per lo più immigrati boliviani e peruviani, che lavoravano in condizioni di semischiavitù. Sedici ore quotidiane senza giorno di riposo, costretti in locali angusti, bui e umidi, con paghe medie mensili di 300 reales (124 euro) per cucire giacche, borse e pantaloni diretti ai mercati di Parigi, Milano o Madrid.

La svolta delle indagini è arrivata lo scorso agosto, quando il ministero del Lavoro ha aperto 52 procedure di infrazione ai danni di Zara dopo aver rilevato che l’azienda Aha, uno dei provider dell’impresa iberica in Brasile, acquistava abiti da due laboratori in cui gli operai, alcuni dei quali minorenni, lavoravano in condizioni disumane.

In un primo momento la multinazionale spagnola aveva negato le accuse di «condizioni lavorative di schiavitù», sostenendo che il reato era stato commesso da imprese subappaltate e fuori dal suo controllo;

ma convocato dalla Commissione dei diritti umani della Camera dei deputati, Jesús Echevarría, direttore di Inditex, il gruppo proprietario di Zara, annunciò di voler collaborare con la giustizia brasiliana. Per il gruppo l’accordo raggiunto dimostra l’intenzione di voler intensificare il controllo della filiera e la volontà di rispettare le leggi sul lavoro. Dal canto suo, il governo brasiliano ha sottolineato la difesa dei diritti umani «soprattutto dei lavoratori immigrati, anche attraverso la creazione di corsi professionali di cucito e inserimento sociale del personale».

Queste e altre attività sono state appaltate da Brasilia ad alcune Ong locali, e secondo quanto prescritto dalla sentenza, saranno finanziate con i soldi stanziati da Zara.

Inditex grazie alla firma Zara è la maggiore azienda del mondo nella commercializzazione di vestiario, con una capitalizzazione in Borsa di 38,5 miliardi di dollari e da pochi mesi ha superato il gruppo svedese H&M, che prima deteneva il primato. Il gruppo, che in Brasile ha 30 strutture tra negozi e megastore, ha chiuso il 2010 con un utile di 1,73 miliardi di euro. La vicenda di Inditex-Zara ha riacceso il dibattito sui danni sociali ed economici di una pratica non ancora del tutto debellata, il trabalho escravo (lavoro da schiavi). Nel 1995, l’ex presidente Fernando Henrique Cardoso avviò una serie di norme per prevenire e combattere il fenomeno attraverso programmi sostenuti e ampliati anche dai suoi successori Lula e Rousseff, che hanno  potenziato l’ufficio ispettivo del ministero del Lavoro.

Secondo i calcoli della Ong Reporter Brasil, dal 1995 a oggi in tutto il Paese sono stati salvati circa 40 mila lavoratori maltrattati e malpagati.

La lista delle multinazionali coinvolte nello sfruttamento, con o senza consapevolezza, è più lunga di quanto si creda: nel 2010 la soprintendenza per il Lavoro dello Stato di San Paolo ha riscontrato gravi irregolarità nei laboratori della locale Csv, che forniva milioni di capi all’anno alla tedesca C&A e alla brasiliana Marisa, che pochi mesi dopo è stata multata (633 mila reales pari a 262 mila euro) per le condizioni schiaviste del proprio sistema di produzione.

Le vittime di questo sistema sono per lo più contadini e operai boliviani, peruviani e meno spesso paraguaiani, che nei periodi di scarsa produttività della terra o di mancato impiego nelle aziende locali, attraversano i confini amazzonici in cerca di fortuna.

Non è un caso che la normativa brasiliana in materia indichi anche l’isolamento geografico tra gli elementi per definire la condizione di schiavitù: non diversamente da quanto avviene in Europa, gruppi di disperati giungono dai Paesi confinanti disposti a tutto, e gli schiavisti li intercettano a metà del cammino, quando si trovano ancora lontano dalle grandi città. Nelle zone, cioè, dove è più facile nascondere lo sfruttamento.

Reporter Brasil, insieme con l’Istituto Ethos e all’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo), hanno dato vita al Patto nazionale per l’eliminazione del travalho escravo, con cui si impegnano ad adottare pratiche e strategie per prevenire le forme di schiavitù sul lavoro. Il progetto conta sulla partecipazione di grandi aziende nazionali come Petrobras e il gruppo minerario Vale S.A. (fonte Lettera43)

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