Boscaioli e carbonai nei Castelli Romani
Questo libro scritto da Maria Pia Santangeli (Boscaioli e carbonai nei Castelli Romani, Edilazio, Roma) fa seguito a un fortunato volumetto dal titolo Rocca di Papa al tempo della crespigna e dei sugamele, sempre della Santangeli. Consiglio di leggerli entrambi, ma se per caso il secondo non lo si trova più in commercio avendo esaurito anche la seconda edizione, raccomando vivamente la lettura, anzi lo studio, del presente, che è una documentazione poetica di un tempo ormai definitivamente trascorso, dato che, in poco più di sessant’anni, siamo passati dalla preistoria al futuro. Voglio avvertire che non si tratta dei soliti libri che esaltano il bel tempo lontano, quando tutto era bello e buono. Maria Pia Santangeli, scrittrice di prim’ordine, non è un laudator temporis acti, cioè una nostalgica dell’ieri perfetto e mansueto, bensì una ricercatrice, liricamente sorretta da una passione per la propria terra che non è possibile a nessuno nascondere. Ella, infatti, si giova dei racconti a viva voce di chi ha vissuto l’ultimo lembo della civiltà contadina, o che ha conosciuto di persona i protagonisti di quegli anni in cui la vita molto somigliava a quella dei secoli indietro, poiché il mondo è stato fermo, specie nell’agricoltura e nell’artigianato, alle usanze e ai maestri orali che sono scivolati lungo la piccola storia paesana e famigliare senza lasciare traccia se non attraverso il lavoro delle loro stesse mani. È chiaro che quel modo di vivere non ha registrato il suo “essere” attraverso la res gestae, o le colonne scolpite, o le pergamene. Semmai, queste le hanno scritte gli altri, quelli che, come Maria Pia, dotati di un intuito sicuro, da rabdomanti, e di una grande capacità di ritratto dal vivo, hanno impegnato tempo ed energie a fermare sulla carta (o sulla tela etc.) la faticosa poesia del tran tran quotidiano di uomini e donne il cui lavoro oggi è fuori moda, e potrebbe essere addirittura dimenticato del tutto da chi, nato nella logica dell’industria e della tecnologia, non sospetta nemmeno le fatiche basate sulla forza delle braccia e non delle macchine, sull’esperienza personale ereditata dai padri, sull’armonia fra uomo, animale e natura in genere. Ma prendiamo direttamente qualche passo da questo libro che io rileggo senza stancarmi, perché scritto con quella misura sapiente che pone in equilibrio i dati oggettivi con la bellezza della narrazione. Qui stiamo nei boschi della Rocca, fra i maestri legnaioli, e fra coloro che – non essendo di largo uso ancora il petrolio – facevano il carbone, energia necessaria non solo in cucina per i fornelli (io stesso ricordo tutto ciò, essendo nato prima della guerra), ma per il riscaldamento nel braciere, i forni etc. «La giornata lavorativa era divisa in tre parti… Mentre uomini e ragazzi tiravano fuori il pane dai tascapani, una breve assoluta quiete calava sul gruppo. Fiamme veloci guizzavano, riscaldando le mani, i calzoni, mentre il fumo saliva lento verso le chiome ancora fitte di foglie giallastre. Venti minuti di riposo, di morsi rumorosi, voraci al pane che, dovendo bastare anche per il pranzo, era un sacrificio non consumare tutto subito». Una testimonianza: «I passoni si fanno più col freddo, perché col caldo si seccano. Quando li scorzavi freschi, ci avevano tutto quel sugo di legname che eravamo tutte macchiate, ma io cantavo sempre anche a scorzà. A raccogliere le fragole stai abbassata, eppure io cantavo» (è Maria Brunetti a parlare, detta Maria d’Orani, di Rocca di Papa). Dice una recente statistica: 50 anni fa si cantava 18 minuti ognuno al giorno; oggi soltanto 6. Nonostante l’elasticità delle statistiche, chi ha la mia età può agevolmente riconoscere la veridicità del calcolo: e cantare non era segno di ricchezza, perché lo facevano soprattutto gli artigiani, le massaie, i vignaroli, gli osti, i bevitori, gli scopini e i muratori: era una forma mentis, una generosità del cuore aperta alla socialità della vita. Il libro si giova di passi e parole dialettali, per rendere ancora più realistico il tutto; non solo, ma Santangeli ferma sulla carta i nomi esatti, e in gergo, dei lavori, le specializzazioni del mestiere: ci si accorge che le regole erano ferree, calcolate al millesimo. Non solo, ma veniamo a sapere (cosa che io stesso posso confermare traslando i fatti nelle osterie di Albano, Ariccia, Genzano etc.) che, durante le pause, i lavoratori venuti da Sarnano, ad esempio, prendevano carta e penna – un solo calamaio per tutti – e scrivevano ai famigliari. «Uscivano allora dalle cassette di legno e dai sacchi, portati da Sarnano, i libretti della Pia de’ Tolomei, della Sepolta viva, del Guerrin Meschino, letture e racconti consueti nelle veglie d’inverno…». Nell’osteria paterna, nei Sampàveli, i beverini citavano a memoria molti passi di Dante, e un pecoraio abruzzese sapeva a mente quasi tutto l’Orlando furioso. Erano i poveri analfabeti, mentre oggi gli alfabetizzati rombano sulle motorette e non leggono manco i giornali! Maria Pia Santangeli parla anche dei tempi del fascismo, dell’interno del paese dopo il lavoro, del lago Albano che faceva da tramite pericolosamente navigabile per i tronchi tagliati e lasciati scivolare sul pendio dei costoni, poi messi sulle zattere e portati verso la spiaggia di Castel Gandolfo. Si richiedeva allora l’aiuto dei lagaroli, barcaioli di Castello, ma il rapporto dei macchiaroli con la distesa d’acqua del lago restava piuttosto insolito. È un popolo che fatica, soffre e gioisce: si ravviva un’epoca che per taluni sta scritta nel cuore, per altri quasi nella leggenda, per altri ancora è sconosciuta. Per questo bisogna ringraziare chi registra i piccoli-grandi fatti degli umili, degli anonimi, che hanno costruito, mattone su mattone, i fondamenti dell’altra storia: in silenzio, essi sono i protagonisti anonimi di quella di ogni giorno, con eroismo non decantato, con onestà, pazienza, sacrificio e amore per la vita. Maria Pia Santangeli si è confermata scrittrice di purissimo conio. Tale è infatti chi sa ricostruire le atmosfere a cui si ispira e di cui ci dona l’irripetibile realtà umana.
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