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Boko Haram vuol dire: l’educazione occidentale è peccaminosa

Boko Haram vuol dire: l’educazione occidentale è peccaminosa
Febbraio 19
23:00 2015

16-Terrorismo-GelsinoSono ormai molte le sigle che si ispirano alla jihad. È bene evidenziare che la jihad non ha nulla a che vedere con il Corano e con chi si riconosce nella religione islamica. Ciò premesso assistiamo agli sviluppi del terrorismo ‘che si spaccia per religioso’, dai talebani ad Al Qaeda, a Boko Haram, all’Isis. Le stragi compiute in nome di Dio purtroppo hanno una lunga storia. In nome di Dio si sono perpetrate guerre e conquiste di continenti, o ci si è definiti popolo eletto negando discendenza divina ad altri.

L’11 settembre 2001 ha segnato lo spartiacque tra l’ipotesi del dialogo e le armi. Queste ultime hanno avuto il sopravvento, espandendosi a macchia d’olio nei continenti e nell’estremismo eversivo con l’aggravante religiosa. Quando gli eventi sono alle porte di casa, come le ‘torri gemelle’, le metropolitane di Madrid e Londra, la redazione del giornale Charlie Hebdo e il supermercato kosher, prendiamo coscienza del nostro vivere quotidiano camminando per le strade e i luoghi della società. Diventano solo notizie la proclamazione di un ‘califfato islamico’ o il rapimento di giovani studentesse. È notizia quella di bambini con cinture esplosive, o quella di ragazzi che guardano una partita di calcio e vengono puniti. Notizie che non riguardano la nostra società, nonostante tutto questo ci coinvolga con avvenimenti violenti e periodici. Attiviamo i nostri servizi antiterrorismo, innalziamo i valori di allerta, e con ciò pensiamo di chiudere il guscio in cui viviamo.
Forse dovremmo accorgerci della guerra in atto che ci coinvolge, anche se diffusa a macchia di leopardo e in continenti diversi. È fondamentale abiurare la guerra, ma cosa succede se ti sparano? Porgi l’altra guancia? Il problema non è rivolto a una sola nazione (o ad alcune, come le precedenti orrende guerre mondiali), ma a realtà che i secoli hanno modellato nelle nostre culture. È in atto uno scontro tra culture diverse, che rispetto al passato – attuato con spade e polvere da sparo – oggi si propone con slogan e armi di distruzione di massa. Chi e quali nazioni possono frenare l’espandersi di formazioni terroristiche senza che ciò alimenti ulteriormente la divisione di culture? Una domanda con risposte variegate, dal disinteresse e controllo allo sviluppo di una soluzione bellica, un intervento sotto l’egida dell’Onu, ad azioni mirate a colpire le organizzazioni più in vista. Forse questo porterebbe a un equilibrio momentaneo di pace… sino alle prossime sigle alimentate dall’emarginazione, dall’odio razziale e religioso, dalla volontà di sopraffazione sociale. Il vortice è destinato a ripetersi, come avvenuto negli anni precedenti, ma il futuro dovrà basarsi sul rispetto dei diritti umani e delle persone. Oggi nel mondo arabo la donna è vittima di sottomissione: lo stesso avviene in modo meno evidente nel mondo occidentale, dove il fenomeno è presente nel mondo del lavoro e, spesso, nella società. I bambini hanno il diritto di vivere un’infanzia di gioco e di studio. I popoli hanno diritto alla scelta e all’autodeterminazione, all’esercizio della libertà religiosa. Anche se si deve ben individuare una dimensione della libertà che non vada a compromettere la libertà del vicino.
Le parole trovano un senso e un dibattito sociale; le realtà si scontrano con interessi internazionali, nazionali e individuali. La rinuncia a una parte del proprio benessere a vantaggio del prossimo è un’utopia. La rinuncia alla sovranità individuale e nazionale è un’illusione. È per questo e su questo che di solito si fa strada una soluzione che nessuno vuole ma che l’uomo da secoli perpetra: la violenza.

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