Bisognerebbe #dirloinitaliano
Siete appena arrivati al lavoro e l’assistente del vostro direttore, o manager, vi comunica che tra circa trenta minuti in sala riunioni ci sarà un meeting. Obiettivo: discutere le strategie di marketing per la promozione del nuovo luxury brand e definire, in un briefing successivo, la mission per il confronto con gli altri competitor.
Questo è un esempio di itanglese: mescolanza di recente creazione, goffa e scorretta, di lingua italiana e lingua inglese. Sembrano farne un grande uso coloro che, non sapendo cosa dire in italiano, formulano un tentativo di risposta usando un termine inglese, spesso sbagliandone la pronuncia.
A questo punto l’interlocutore dell’assistente del direttore avrà due possibilità: parlare l’itanglese e comprendere le istruzioni, oppure cercare di capire quello che gli è stato detto, chiedendosi perché quelle stesse parole non gli siano state rivolte in italiano.
A una domanda simile ha pensato la giornalista Annamaria Testa che sul mensile Internazionale ha lanciato la petizione, sostenuta dall’Accademia della Crusca, #dilloinitaliano. Il Governo italiano, le Amministrazioni pubbliche, i media e le imprese sono state invitate a «parlare un po’ di più, per favore, in italiano». Sono molti i termini inglesi che oggi ricorrono nei discorsi politici, sulla carta stampata, nella comunicazione delle imprese, ma non bisogna dimenticare che queste parole hanno un loro corrispettivo efficace anche in italiano che dovrebbe essere usato. Annamaria Testa non ci chiede di privarci di queste parole per un desiderio di purezza linguistica, ma di ricordarci di «non sprecare il patrimonio di cultura, di storia, di bellezza, di idee e di parole che, nella nostra lingua, c’è già».
Parlando italiano potremmo farci capire da tutti con chiarezza ed efficacia; la scelta di un termine o di un altro non può essere dettata dalla voglia di utilizzare quello che Michele Serra ha definito su Repubblica un ‘simil-inglese’, spesso non necessario e «pigramente imitativo». L’italiano è la quarta lingua più studiata al mondo ed esporta all’estero il nostro pensiero, la creatività, le tradizioni culinarie, la musica, la moda, la cultura e il nostro essere italiani, diventando anche un potente strumento di promozione. Il nostro tessuto linguistico siamo noi, «gli italiani, forti della nostra identità, consapevoli delle nostre radici, aperti verso il mondo».
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