Biscotti panpepati e sogni nelle scatole
Quando in dicembre mio padre portava fuori dallo scantinato gli scatoloni del presepe, in casa mia era già Natale.
Ciò non avveniva in una data ben precisa, potevano essere gli ultimi giorni di novembre, come i primi del mese successivo e noi ragazzini vivevamo con grande attesa quel magico momento: l’attimo in cui mio padre dichiarava che il Natale era alle porte.
Lo faceva con grandi rituali: gli scatoloni impolverati su dalla cantina, il taglio dell’albero o a volte di un solo ramo dagli abeti del giardino, e lo sgombero di una parte della stanza che quell’anno avrebbe ospitato il grande presepe semovente che costruiva egli stesso con le sue abili e grandi mani da contadino.
Gli scatoloni con su la scritta “Roba di Natale” , contenevano tutto l’occorrente per allestire il presepe e l’albero. Erano sempre gli stessi anno dopo anno, sempre più vecchi e più impolverati, come gli scrigni, quei magici forzieri che nei miei sogni da bambina uscivano fuori dal terreno stracolmi di monete d’oro sotto una grande quercia.
Quelle scatole apparivano come incantate e fantastiche ai miei occhi, non uno strappo, non un buchino, nessuna lacerazione, sempre robuste e integre di un colore marrone chiaro, ricoperte perennemente di polvere. Ma quella non era la polvere che ti fa starnutire, era brillante, sottile, impalpabile come quella che si comprava tanti anni fa nei tubicini di plastica trasparente: quella polverina d’oro o d’argento da incollare sulle letterine di Natale per mamma e papà.
E quella stessa posata sui cartoni, preservava dal tempo e dall’usura il suo prezioso contenuto: statuine di gesso, casette di legno, alberelli in paglia colorata, animali in ceramica- poi sostituita con la plastica- e zolle di “vellutino” raccolto l’anno prima sui muretti in ombra del nostro giardino.
Piccoli sassolini per fare i viottoli, carta stagnola per i laghetti e poi… poi il cielo, fogli e fogli di carta stellata dai colori differenti per simulare un cielo notturno carico di stelle. E ancora, rotoli di carta disegnata simile alla roccia per costruire le montagne e barattoli di farina per far cadere la neve sul paesaggio natalizio, infine, adagiate sul cotone idrofilo ormai ingiallito dal tempo, decine di bellissime sfere di vetro colorato per decorare l’albero.
Ma nello scatolone più grande, quello più vecchio, ce n’era un altro appena più piccolo che conteneva un vero tesoro, ciò che non sarebbe mai potuto mancare in un presepe: la capanna della Natività.
Avvolta in una velina sottile, che emetteva il suono di una campanellina argentina al solo stropicciare delle mani, la velina appunto, ricopriva una bellissima capanna in legno e cartone. Questa riproduceva dettagliatamente una casupola antica, proprio come l’avevo immaginata nei miei sogni di bambina.
Al primo piano una piccola mangiatoia dove la notte di Natale mio padre adagiava la statuina sorridente del Bambinello, poco distante l’entrata, piccoli steccati di canna di bambù a dividere lo spazio, poi una scaletta in legno per salire al piano superiore dove, appoggiati sul pavimento, c’erano dei piccoli sacchi di iuta dai quali uscivano ciuffi di fieno e paglia. E poi gli spilli, c’erano dei piccoli spilli infilzati sul tetto dove appendevamo gli angeli di terracotta e la stella, la stella più bella dell’universo: la stella cometa.
Andava messa sbieca sulla punta più alta della capanna per fare da richiamo ai pastori che arrivavano di lontano e, a noi bambini dagli occhi sognanti, che puntualmente ci fermavamo per raddrizzarla.
C’era poi il posto per il bue e l’asinello, proprio dietro al Bambino coricato nella mangiatoia e quello per le statuine di Maria e Giuseppe che ogni anno, presepe dopo presepe, cambiavano posizione: la madonna a destra e San Giuseppe a sinistra, oppure viceversa a seconda degli umori e delle nostre piccole teste piegate di lato per decidere la giusta posizione.
Con l’apertura degli scatoloni dunque, in casa mia si inauguravano le Feste Natalizie.
Papà all’opera con statuine e fili argentati e mamma ai fornelli e al forno a gas con il grembiule indosso, quello bianco con la scritta “Buon Natale” in rosso e, appoggiati sul ripiano della cucina, barattoli di farina, ciotole di latte, uova fresche e frutta secca; poi mandorle, nocciole, pinoli, canditi, cioccolato e miele.
Alla magica atmosfera dei sogni che prendevano vita su un tavolo addobbato all’ingresso, si univano i profumi dei dolci fatti in casa.
Non c’erano pacchetti colorati e ammiccanti sotto l’albero, non c’erano aspettative per ricevere oggetti visti nelle pubblicità in televisione o sugli scaffali dei grandi magazzini: nei nostri cuori c’era solo tanta tanta gioiosa attesa di giorni magici, diversi, caldi e colorati; di messe celebrate al sorgere del sole, di preghiere recitate come poesie, di canti stonati con il cuore traboccante di felicità e poi di cioccolate calde con la panna al Bar del corso al termine del rito sacro.
Ricordo gli schiamazzi di noi bambini nei corridoi della casa di mio nonno e del profumo dei “cappelletti in brodo” che mia zia Anna preparava immancabilmente ogni anno per la cena della “Vigilia”; ricordo lo scricchiolio dei biscottini con le nocciole sotto i denti e il profumo dei calici del vino cannellino – a noi piccoli di casa era ammesso solo annusare i bicchieri- quel nettare che stagione dopo stagione, non deludeva mai le aspettative di quei palati abituati ai sapori antichi.
Ricordo le ciambelle al vino e le teglie stracolme di panpepati tondi e lucidi di miele e cioccolato, duri al coltello ma pastosi in bocca.
Ho cercato invano nella cantina della mia casa moderna quegli scatoloni: ci sono scatole di tutte le misure e forme e una lunga e stretta con la scritta “abete sintetico autoilluminante”.
Non c’è abbastanza polvere su quella scatola, non c’è magia, non ci sogni nel suo interno, non ci sono profumi, né grida festose di ragazzini.
Natale arriverà anche quest’anno, come ogni anno, soltanto più spento, senza suoni, senza quella gioia che soltanto un bambino può provare; arriverà senza statuine di gesso e senza casupole di legno, arriverà con i suoi nuovi colori scintillanti e le sue scatole lucide e leggere, con i suoi sogni impalpabili e impossibili da stringere nelle mani.
Se soltanto potessi esprimere un desiderio, vorrei tornare indietro nel tempo per ascoltare, toccare e sfiorare con le mani quelle emozioni “rotonde” e dolci che ancora porto chiuse in grandi scatoloni impolverati nel mio piccolo cuore di adulta.
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