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Bioregionalismo e sopravvivenza

Giugno 02
17:02 2017

Bioregionalismo e sopravvivenza – Il primo passo da fare è divenire consapevoli di quello che spontaneamente cresce nel territorio in cui viviamo

La vera sopravvivenza non è garantita dalle multinazionali dell’agro-industria che perseguono la distruzione del patrimonio genetico delle essenze naturali, portata avanti con l’immissione degli OGM, con i pesticidi, con l’allevamento intensivo, etc. bensì dalla conoscenza e conservazione dei valori nutritivi delle piante spontanee presenti in natura.

Non voglio però assumere un atteggiamento catastrofista, poiché di situazioni drammatiche il pianeta Terra ne ha vissute ben altre. Quello che conta è il mantenimento dell’intelligenza e della capacità di sopravvivenza e tale capacità, come abbiamo visto accadere nell’isola di Bikini, sede degli esperimenti nucleari francesi, ha una forza inimmaginabile. Infatti lì dove ci si aspettava la morte si è invece scoperto un ecosistema eccezionalmente vitale e prospero, soprattutto in “assenza” dell’uomo.

La capacità elaborativa della vita si farà beffe della distruttiva arroganza “scientifica” e, malgrado l’apparente cecità, l’uomo non potrà distruggere la vita (di cui egli stesso è emanazione). E questo nonostante la sterile raccolta umana di informazioni, che ha preso il sopravvento sulla capacità di riscoprire giorno per giorno la freschezza della vita, alla fine -ne son certo- la capacità di conservazione saprà “affermarsi”.

Lo vedo in quel che succede negli interstizi dell’asfalto, in mezzo alle immondizie, tra i veleni più pestilenziali di questa società opulenta e un po’ tonta… Eppure l’uomo è la somma di una complicata rete di complessi, psicosi, nevrosi, istinti, fissazioni e intuizioni.

Nessuna cosa viva è in grado di condurre in se stessa un’esistenza separata, distaccata, dal resto della vita. Attraverso la virtualizzazione si misura l’esistente sul piano dell’illusione, del glamour, della distorsione, dell’accumulo di conoscenze utilitaristiche, creando così confusione fra l’identità provvisoria e quella permanente. In sanscrito questo processo-trappola si chiama “aham vritti” ovvero proiezione speculativa dell’io che si identifica con le tendenze con cui viene in contatto. Ma in natura “ogni cosa ha il suo posto ed ogni posto ha la sua cosa” era il motto del botanico Linneo, stretto osservatore non interventista… ed il mio con lui.

Paolo D’Arpini

Consigli pratici di sopravvivenza:

La nostra pratica di vita quotidiana ci ha insegnato a riconoscere il valore e l’importanza del cibo. Sia nella sua produzione che nel modo di consumarlo. Se il nostro cibo è caricato di energia spirituale naturale, che viene cioè da una spontanea manifestazione vitale, è sicuramente idoneo a mantenere il nostro equilibrio psicofisico. Questo cibo è quello che cresce nel luogo in cui viviamo (bioregione), in modo il più possibile naturale, e che viene consumato nella sua propria stagione di maturazione, in quantità moderate. Una dieta “satvica” (cioè spirituale) è basata su vegetali, cereali, legumi, frutta, semi, miele, latte materno e talvolta anche uova e derivati del latte. Questa è la dieta naturale dell’uomo, come dimostra anche l’anatomia comparata e le analisi coprologiche negli antichi insediamenti umani.

Per quanto riguarda la produzione del nostro cibo il primo passo da fare è divenire consapevoli di quello che spontaneamente cresce nel territorio in cui viviamo. Questo iniziale processo di osservazione e accomunamento con la terra è necessario per scoprire quali erbe e frutti eduli siano già disponibili in natura, cresciuti in armonia organolettica con il suolo e quindi esprimenti un vero cibo integrato per chi là vive. Lo stesso approccio conoscitivo va applicato verso la fauna selvatica che condivide la presenza in equilibrio naturale.
Il passo successivo è quello di sperimentare l’inserimento nel terreno prescelto di piante imparentate con quelle autoctone od in sintonia con esse. Questa graduale “promozione” non può essere vissuta con l’occhio distaccato di un agronomo, va invece interiorizzata come un’opera di alchimia fra noi e l’ambiente. Scopriamo così la nostra comune appartenenza alla vita che ci circonda nelle varie forme.
Il mio consiglio, dopo qualche passeggiata assieme a noi per riconoscere erbe e piante selvatiche commestibili, è quello di fare i compiti a casa, organizzando sul terrazzo, in giardino, ovunque sia possibile in città, piccole coltivazioni integrative, come il prezzemolo, il basilico, peperoncino, salvia, topinambur, zucche rampicanti, etc. che servono anche ad alzare la qualità spirituale del cibo reperibile in città.

Circolo vegetariano VV.TT. – Vicolo Sacchette 15/a – Treia (Mc)
circolo.vegetariano@libero.it

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