ATDAL – 4 – “Non ho l’età” di Stefano Giusti
Un’inchiesta sul fenomeno della disoccupazione dopo i 40 anni. Statistiche e inchieste accanto ai racconti di vita di chi ha vissuto questo problema.
Dalla Premessa del libro:
Nella scena finale del film di Ferzan Ozpetek, “Cuore sacro” la protagonista dichiara di sentirsi un po’ parte di tutte quelle persone che ha conosciuto durante un suo percorso esistenziale. Questa premessa l’ho scritta per ultima, dopo aver raccolto le testimonianze, ascoltato e in parte vissuto tutte le storie delle persone, degli amici, che hanno contribuito alla stesura di questo libro. Alla fine posso dire che, pur firmato dall’autore, questo testo sia diventato una voce collettiva, una sorta di rappresentazione per tutte quelle persone che vivono sulla propria pelle questo disagio ma che non vengono mai rappresentate ufficialmente, se non in criptiche analisi o nebulose statistiche, quasi che i numeri e le categorie potessero circoscrivere, descrivere e sistematizzare la realtà. La disoccupazione o l’occupazione precaria permanente sono invece esperienze fin troppo reali, che invadono l’esistenza delle persone. Rendono sfumato e instabile tutto ciò che per altri è normale e a volte, scontata quotidianità. Finiscono per creare quasi un nuovo tipo di essere umano dalle caratteristiche sociali sfuggenti e talvolta contraddittorie.
Le testimonianze che ho riportato tra un capitolo e l’altro, le ho volute proprio per dar vita e voce alle teorie e ai numeri elencati, che sono sempre validi e buoni per tutte le stagioni, ma, per chi legge, sembrano spesso appartenere a un universo ignoto, considerato lontano e quindi non perfettamente interpretabile. Di tutti i racconti ascoltati mi rimane principalmente il sofferto vissuto psicologico e l’altrettanto difficile collocazione che le persone cercavano di darsi: la precarietà sembra far cadere nell’oblio ogni legame con il passato e recidere totalmente ogni visione del futuro, lasciando chi si trova in questa situazione in un dilatato, smisurato, interminabile presente, dove è vietata ogni forma di progettualità.
Alcune brevi annotazioni metodologiche: le storie individuali sono state raccolte in due maniere: una sotto forma di intervista diretta, registrata e trascritta, l’altra in forma di racconto e scambio epistolare di domande e risposte. Per mia espressa volontà, facendo magari anche storcere il naso a qualche purista della lingua, gli interventi sulle trascrizioni dai nastri e delle lettere sono stati pochissimi e assolutamente insignificanti da un punto di vista dei contenuti. Ho volutamente lasciato periodi lunghi, incisi che rendono poco scorrevole il testo, apparenti sgrammaticature, perché spero che così si riesca a rendere bene lo stato d’animo di chi parlava, le sue sensazioni, il suo disagio, la sua voglia di denunciare e farsi ascoltare. Questo mi preme riuscire a rappresentare in questo testo, la voce di chi ha voluto raccontare la sua storia, in modo da poter finalmente collocare questo fenomeno in un orizzonte che non è confuso e indefinito ma visibile e soprattutto più vicino a noi di quanto a volte si possa immaginare.
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