Arboreto salvatico
Arboreto salvatico
Mario Rigoni Stern
9788806129835 ed. 1996
Einaudi
€ 9,00 e-book disponibile € 6,99
Fra la bella e importante produzione di questo scrittore ispirata alle vicissitudini di guerra, Il sergente nella neve, e quella dedicata alla sua appartenenza ai Cimbri dell’Altopiano di Asiago, o libri come Stagioni, ancora ispirati alla guerra ma anche alla natura, sta questo Arboreto salvatico del 1991: «Quando trentadue anni fa venni ad abitare questa casa che mi ero costruito, il luogo era selvaggio e incolto: i cespugli di crespino, rosa canina e ginepro avevano invaso i sassosi seminativi che nel lontano passato gli abitanti della contrada vicina avevano roncato per poter raccogliere un po’ d’orzo e patate. (…)
Era d’autunno e un giorno, camminando con mio figlio maggiore, raccolsi il primo albero per portarlo vicino a casa: un pino silvestre alto pochi centimetri….» Così comincia un’avventura che si snoda tra gli alberi che lo scrittore pianterà nel suo arboreto selvatico/salvatico (oggi possiamo capire di più la profezia della parola: fra inondazioni e cattiva gestione del territorio la cura del ‘lato selvatico’, e degli alberi, potrebbe salvarci), camminando tra larici, abeti, pini, sequoie. Faggi, tigli, tassi, frassini, betulle, sorbi, castagni, querce e persino ulivi, salici, noci, pioppi, meli, aceri, gelsi, ciliegi. Nel capitolo dedicato ad ogni albero la storia della specifica pianta, com’è arrivata nell’arboreto, i miti collegati, le virtù terapeutiche, gli utilizzi di fiori, frutti e foglie. Solo per parlare del pino, quando esisteva ancora una sapienza umana attorno alle cose della natura, diffusa e non solo utilizzata a fini chimici e produttivi, si scopre che produce tre quattro chili di resina l’anno; dalla quale si ricava olio di trementina e colofonia (pece greca o resina solida per violini); legno in asticelle che sostituiva le candele poiché impregnato di resina; si distilla catrame per le vele delle navi e i cavi; ancora pece rossa o bruna per i vasi vinari e per spalmare, mista a creta, le botti della birra, e molto altro. Una vera piccola grande enciclopedia degli alberi, anche quelli dei poeti: «Virgilio nell’Eneide ci racconta che di travi d’acero era fatto il cavallo dell’inganno di Troia (…) Anche Pasternàk, sia nello Živago che nelle poesie, ricorda gli aceri e (…). Teofrasto, nei suoi trattati di botanica scrive che l’acero era prescelto per i mobili di maggiore eleganza, e Ovidio ci ha lasciato scritto che di acero era il trono di Tarquinio Prisco». Libro da leggere e consultare, per chi scrive, per chi legge, piccola summa di saperi, coscienza civica, amore profondo e vissuto per la natura concepita non come altro da sé, ma come compagna del cammino dell’esistenza. «Anche gli gnomi dentro il buio della Grande Montagna cantano: Sette volte bosco, sette volte prato,/poi tutto ritornerà com’era stato. Ma intanto i nostri alberi sono qui, dal Paleozoico; (…) Quando gli uomini vivevano dentro la natura, gli alberi erano un tramite di comunicazione della terra con il cielo e del cielo con la terra». (Serena Grizi)
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