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Appunti di un insegnante – 5

Maggio 08
19:51 2010

Con l’acqua alla gola. Per parlare è necessario sapere che si deve partire da sé per poi voler arrivare all’Altro. “Gli altri siamo noi …” canta una canzone di Tozzi; nella storia gli altri siamo ancora noi sussurra De Gregori in una sua composizione musicale. Troppo spesso però restiamo con il fiato sospeso e con l’acqua alla gola e non “immobili dopo il mortal sospiro” del grande Napoleone come recita il 5 maggio del Manzoni. Siamo noi quando tacciamo, quando parliamo, quando sussurriamo, quando urliamo, quando ci sfiniamo o ci neghiamo con le parole, quando agiamo d’impulso, quando passivi moriamo all’evidenza. Che importanza diamo all’ascolto e alle parole nel dialogo con gli altri nella scuola? sì la condotta, le classi piene di ragazzi; a mala pena riusciamo a seguirli tutti, singolarmente, anche se sarebbe un loro diritto durante le ore scolastiche. Ma come notare un chiacchierio in fondo alla classe in maniera corretta e non con l’impulsività di chi per forza o per ragione deve portare a termine il suo piano ministeriale? Perché sì sempre lì si finisce, a parlare di progetti, piani, organizzazioni, numeri, note, voti … e le persone? Con l’acqua alla gola le persone se ne vanno, passano e non le vedi più. Basta? basta lasciare una nozione e non degli strumenti con i quali percorrere una vita fuori dalla scuola dei banche, dei testi, dei registri delle pagelle? Raccontavo giorni fa ai miei alunni una storia di Rodari su Lamberto un vecchio bizzarro schiavo dei suoi innumerevoli malanni, tanto da non essere più se stesso e tanto da non riconoscere negli altri un aiuto: è troppo preso da sé e dal suo egoismo da non accorgersi nemmeno di un sorriso o di una parola di conforto. Chi siamo? Dove andiamo? Sono interrogativi che accompagnano l’uomo. Visto che non ci è dato sapere veramente chi siamo, dobbiamo accontentarci di scoprire come ci vediamo o come ci vedono gli altri. Ma ci vedono gli altri? Chi è il tuo compagno di banco, solo uno da cui copiare, fregare la merenda, prendere in giro, condividere le marachelle oppure una persona che piange, ride, soffre e vive se lo vive un disagio; sì perché alcuni non lo vivono lo subiscono. A volte ti lasci influenzare dalle emozioni: vedi ciò che credi di poter vedere, presti ascolto solo a ciò che ti è utile. Cosa fanno l’illusione, la disattenzione, l’indifferenza, la precarietà sui sensi? È più semplice dire cosa non fa, visto che qui si vive in un abbandono, un delirio di lotta fra poveri, una corrispondenza incruenta di sanguinanti sensi. Questo dovremmo poter gridare tutti: dalle più alte sfere alle più basse: ti ascolto per capire. L’udito è il padre indiscusso dell’ascolto, basta questa semplice affermazione per capire quanta e quale responsabilità umana gravi sui suoi padiglioni. Prestare ascolto è molto di più che offrire un padiglione auricolare. Prestare ascolto è tendere l’orecchio dell’affettività, è far vibrare le emozioni dentro di sé, è comunicare con il cuore sempre. Invece non siamo ascoltati e non ci sentiamo ascoltati perché… fanno contemporaneamente altre cose (altri problemi più seri dell’istruzione occupano le aule del governo), non ci guardano in faccia (ma siamo noi a guardare cartelloni pubblicitari per le strade o tv che raccontano un mondo surreale), non ci lasciano il tempo di spiegare interamente il nostro problema (ma borbottano e si parlano sopra nelle innumerevoli e inutili trasmissioni televisive a parlare di diversità in tutti i campi e modi), guardano l’orologio dando l’impressione di avere cose più importanti da fare (le vacanze in Sardegna e non solo). Galimberti ha cercato con eleganza, forse troppa, di delineare il disagio giovanile non come psicologico o esistenziale, ma come culturale, inteso come un’assenza di valori, dove ogni cosa si avvolge su se stessa. La dimensione del nostro tempo, per Galimberti, è entrata nei giovani come sostanziale assenza di futuro che modella una sempre più profonda insicurezza e un assistere allo scorrere della vita in terza persona. Il cambiamento in positivo potrebbe avvenire? Si riuscirà in questo marasma ad incuriosire i giovani alle loro virtù, alle loro capacità, come investimento su di sé, puntando alla loro espansività. Insomma riusciremo a sostenere i nostri giovani, i loro talenti? Forse no con l’acqua alla gola.

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