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Appunti di un insegnante – 3

Febbraio 09
15:20 2010

Con un pugno di mosche
S. vorrebbe tanto scegliere di prendere cinque a scuola, ma il padre lo obbliga alla perfezione sempre e comunque e così è terrorizzato di portare a casa la pagella, perché i cinque ci sono e come!
V. non ce la fa a studiare canto da professionista, perché oltre ad andare bene a scuola, perché le piace studiare, vorrebbe frequentare i suoi amici e avere meno impegni, ma non sa come rivolgersi alla madre, donna tutta d’un pezzo. L. è malato di sclerosi multipla e non capisce perché lui, che vorrebbe poter vedere per sé un futuro, se lo vede negare oltre che dalla malattia anche dalla società che non gli offre a partire dalla scuola delle strutture adatte e sicure per finire di sopravvivere alla sua croce.
M. ha un ritardo cognitivo e di ministeriale e progetti minimi non gliene interessa poi molto, lei vuole essere felice con i suoi compagni di classe e mangiare tante caramelle, ma la madre ha istruito il docente di sostegno che assolutamente la figlia né deve mangiarle e né distribuirle in classe ai compagni.
G. ha abortito, perché la madre l’ha costretta anche se lei non voleva e la rabbia le si legge negli occhi: disegna, scolpisce, realizza opere d’arte a scuola; tutte grida del suo dolore.
F. si veste di nero, ma i genitori non la capiscono e lei non si sente accettata e così si considera talmente nulla che a scuola non interviene mai alla richiesta di un commento o di una opinione su un argomento appena spiegato dal docente.
W. è stato adottato, è un ragazzo del Perù, che soffre un po’ per la sua bassezza e si ripiega tutti i giorni sulle sue innumerevoli e contorte domande sull’esistenza, trovando in parte una risposta alle sue richieste negli altri ragazzi stranieri come lui che frequentano la scuola e nei meno fortunati.
D. è innamorata di una ragazza, ma lei non la considera neanche e la chiama al telefono solo per sfogarsi sul ragazzo che la tratta male e lei a scuola si sfoga mangiando e non stando un momento ferma.
G. è stata violentata da piccola, ma ha rimosso l’evento che rivive ogni volta che si trova di fronte una situazione nuova e ad una persona che vuole conoscerla: non si fida mai di nessuno, neanche di lei e così il suo rapporto con i compagni di classe è solo una convenzione.
P. è autistico e si è reso conto da poco che l’apparenza non conta, ma che la necessità ultima della vita è aprire e ascoltare il cuore e ha confessato ai sui professori che ha paura di soffrire.
G. ha un conflitto perenne con la madre ed è ormai il terzo anno che viene bocciato agli esami di maturità per ripicca nei confronti di una presenza troppo ingombrante e così quando arriva la fine del primo quadrimestre inizia ad andare in crisi e a dire che anche quest’anno non ce la farà.
M. non si piace, vuole essere sempre più magra, perché il padre la prende in giro e le dice che non è bella e la madre passa intere giornate dall’estetista. Così lei controlla ogni cosa: è precisa, pulita quasi maniacale persino del banco su cui siede a scuola.
Ma … Se … Forse …
La loro psiche è così turbata!
Anche a scuola c’è bisogno di una rinascita interiore, di una cooperazione ambiente-individuo.
Bisogna aiutarli a salvare la pelle, almeno quella dato che con la cultura ormai non hanno e non avranno più molto colloquio.
E pensare che quando morì di tumore mio zio a 37 anni e io ne avevo 16 mi gettai a capofitto sulla filosofia; fu lei a guarire il mio dolore, i miei perché, i miei silenzi, la mia rabbia.
Resteremo con un pugno di mosche in mano? È possibile. Il problema è che ci si inizia a sentire vivi quando si sta per morire e quindi credo che la lotta per migliorare le cose sia appena cominciata e il suo sapore sarà sicuramente meno amaro del presente. È importante per questo non restare con le mani in mano ma rimboccarsi sensibilmente le maniche … in modo da scacciare le mosche.

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