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Appunti di un insegnante – 1 – Mani in pasta

Dicembre 07
23:00 2009

Mi capita giornalmente di osservare i giovani adolescenti. Insegnare con passione aiuta anche a questo, ad osservare. Il loro modo di vestire, di truccarsi, di mascherare emozioni, sentimenti, dolori e il loro corpo in movimento, trascinato su scarpe firmate e jeans stracciati, fino ad essere buttato lì in un angolo, solo o in gruppo, con in bocca una sigaretta o un “ciupa ciups“. Sembrano vuoti, sì al primo sguardo ad uno sguardo veloce, superficiali. No, non è così e spendo minuti, ore a parlare con loro, a cercare di trasmettere loro speranza, interesse, volontà, voglia e sogno. Hanno bisogno di capire che il loro corpo non è solo un oggetto da vestire o svestire, coprire o mostrare usando sempre i modelli che offrono i mass-media e mai i loro, ma imparare a sentire il loro corpo, che parla, che dice il non detto che spesso, troppo spesso nascondono lì in fondo a se stessi. Resta solo la necessità di ascoltarlo con coraggio, con forza e speranza. Vivono mali diversi dai nostri nonni alla loro età. Non vivono la guerra delle bombe e della fame, ma vivono la morte dei sentimenti, il disastro delle famiglie, che li hanno messi al mondo, ma non li riconoscono figli, senza sguardi, senza testimonianze, senza identità o troppe a volte: due mamme, due papà e poi ancora. Soffrono in silenzio. Scusarli no, ma spronarli sì. Ma chi li aiuta ad interessarsi della loro vita? Chi li aiuta ad “innamorarsi di sé“, come ben scrive Galimberti nel suo libro L’ospite inquietante dedicato proprio a loro? Forse la tv? Che li prende in giro con falsi entusiasmi e deboli progetti in isole sperdute? Tutto un mondo virtuale nel virtuale. Certo telefoni, macchine, vestiti sono all’ultima moda, all’ultimo grido: vanno in giro griffati, camuffati e poi? Che resta di loro? Discoteche affollate, ammiccamenti, il desiderio e la voglia di sentirsi fisicamente grandi, scoprire cose nuove violentando una mente che non è pronta a certe emozioni troppo forti. Conoscono le passioni, ma non sanno gridare il dolore, non sanno amare se stessi se non attraverso omicidi, ribellioni contro le forze dell’ordine, con la corsa sulle strade della morte, contro le leggi e i legiferanti di ogni mano, aperta e a pugno chiuso. Dove sono i loro progetti e i loro desideri? Urlano con striscioni, ma non amano la storia, vogliono riforme, ma non conoscono la scienza, gli scienziati, le loro scoperte e deridono i filosofi come perditempo e pazzi. Mentre i folli sono loro, non si accorgono che il virtuale, l’abbrutimento politico, la crisi delle emozioni li sta ipnotizzando. Vivere di notte e fare le ore piccole, non significa essere vivi. In un momento, la giovinezza, così magico della loro vita dove il cervello maggiormente può assorbire ogni causa ed effetto, chiudono gli occhi, le orecchie, la bocca. Studiate la storia, la letteratura, l’amore per la conoscenza che è prima di tutto conoscenza di sé, rispetto dell’altro, del diverso. Siamo tutti diversi, unici, opere d’arte. Chissà se lo sanno? Se qualcuno non si stanca di dirglielo, soprattutto i docenti. Non dimentichiamoci che quella dell’insegnante non è solo una professione, è una missione. Non si spiega solo una materia specifica, si insegna la vita, l’educazione, la paideia degli antichi greci. Sarà un approccio ingenuo, ma si deve mettere fine alla troppa tolleranza e finta autorità. I nostri ragazzi chiedono autorevolezza. Questa nasce dalla passione per il proprio lavoro e dalla passione nei loro confronti. Sono intelligenti, bisogna ricordarglielo, capiscono se, come un burattino, ripeti sbrodolandoti la lezione. Comunicare e fare lezione significa godere del momento del loro apprendimento: momento magico e di creazione.

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