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Approvato il decreto sicurezza: è istituzionale la persecuzione di migranti e senzatetto

Luglio 02
15:38 2009

Da parte nostra, ribadiamo che il decreto è razzista e che l’allarme epidemie non è potenziale, ma riguarda purtroppo eventi inevitabili. Ecco (qui di seguito) alcuni casi di lebbra, recenti, a Milano: per fortuna i malati andavano ancora in ospedale, dopo i primi sintomi. Ora non ci andranno più: fenomeno che è già iniziato da qualche settimana, poiché fra i migranti si è diffusa la notizia dell’imminente approvazione e vi sono già gravi indizi di una possibile diffusione epidemica del morbo di Hansen, la lebbra.  E da oggi, nel breve e medio periodo, il pericolo si trasformerà inevitabilmente in una realtà. Potrebbe riguardare la lebbra, ma anche febbri emorragiche virali (devastanti), influenze ad alto tasso di mortalità o addirittura l’Ebola. L’OMS non è ancora al corrente delle responsabilità che l’Italia si è presa. Vi è da augurarsi che prenda provvedimenti con urgenza. Governo e parlamento non si rendono conto che l’Italia è l’unico Paese al mondo in cui essere clandestini è un reato. Accadde nel Reich di Hitler e da allora in nessun posto, fino a oggi. Non fosse che per assicurare ai cittadini le procedure di prevenzione, quarantena e lotta alle epidemie, gli altri Stati si guarderebbero bene dall’emanare simili assurde leggi. Quando – bisogna rendersi conto che è corretto, ormai, chiedersi “quando” e non “se” – batteri e virus si diffonderanno incontrollati e sarà troppo tardi, chi si assumerà le responsabilità di questa pazzia?

La lebbra è in Italia. Se i malati non vanno in ospedale, è rischio-epidemia

Allarme al San Paolo: dopo dieci giorni nuovo caso di lebbra

di Rita Balestriero

da Il Giornale, 18 marzo 2009
Un altro caso di lebbra a Milano, il secondo nel giro di dieci giorni. «Ma non c’è alcuna connessione tra i due pazienti – assicurano i medici – perché non sono mai entrati in contatto tra loro». Quindi la raccomandazione dalla Regione: «È inutile creare allarmismo: da noi il pericolo di contagio è pari a zero, queste persone hanno tutte contratto la malattie nei loro Paesi d’origine».
Partono soprattutto dall’Africa, India, Brasile, Bangladesh, Indonesia, Birmania e arrivano a Milano quando la malattia non si è ancora manifestata perché il periodo di incubazione è molto lungo, può durare anche cinque anni. Dal Policlinico al San Paolo, perché se il caso precedente della colf cingalese era stato diagnosticato in via Pace, questa volta è toccato al reparto di dermatologia di via Di Rudinì accogliere il ragazzo egiziano di circa 30 anni che da mesi conviveva con dei sintomi ben precisi. «Durante la prima visita – racconta il professor Silvano Menni, primario di dermatologia al San Paolo – si è presentato con manifestazioni esclusivamente cutanee che ci hanno fatto subito pensare che si potesse trattare di lebbra». Da qui, la decisione di svolgere una biopsia già il giorno seguente, quindi l’attesa: «Abbiamo dovuto aspettare circa sei giorni prima che il responso dell’esame ci togliesse praticamente ogni dubbio».
Il ragazzo egiziano non è sposato e non ha figli, ma vive a Milano insieme ad altri cinque connazionali. «Non parla ancora bene l’italiano – continua il professore – quindi durante le visite è sempre stato accompagnato da un cugino che l’ha aiutato a farsi capire». Come vuole la prassi per questi casi particolari di malattie infettive, ora il paziente è stato trasferito al Centro nazionale di riferimento per la lebbra, presso l’Azienda Ospedaliera San Martino di Genova e proprio da lì, ieri, è arrivata l’ennesima conferma che l’egiziano ha contratto effettivamente il morbo di Hansen. A Milano, invece, ora dovrebbe partire un piano di controllo per tutte le persone con cui il ragazzo ha vissuto e con cui è entrato a stretto contatto, una serie di test che più che altro serviranno per precauzione.
L’ultimo episodio di lebbra diagnosticato al San Paolo risale a circa due anni fa «e anche in quel caso si trattava di un immigrato che era stato contagiato nel Paese di origine». Difficile stimare il tempo di guarigione, «perché varia da persona a persona e spesso, chi ha contratto il morbo è costretto a sottoporsi a visite di controllo per tutta la vita».

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