Appia Antica: “Paradiso o Inferno” e tutte le altre emergenze
Anche nell’ anno di grazia 2023, i turisti di tutto il mondo e perché no, anche italiani, più colti e più dedicati alla scoperta personale e più intima, sono attratti dal millenario racconto dell’Appia e si avviano a piedi da quello che considerano il punto di Partenza: Porta S. Sebastiano.
Proseguono in direzione fuori le mura verso sud, a raggiungere dapprima il Domine Quo Vadis (e qui l’ingresso alla Caffarella) per poi tralasciare il bivio per la Via Ardeatina e proseguire sulla Appia tra gli alti antichi muri degli orti seicenteschi verso la Basilica di San Sebastiano, ed a seguire verso il Circo di Massenzio e verso Cecilia Metella.
Hanno letto guide antiche o recenti. Sanno di passare accanto alle più celebri delle Catacombe, tra monumenti funebri incistati in quei muri, sulle orme di invitte legioni, di apostoli e Santi diretti alla capitale dell’Impero, sul sangue dei martiri e degli schiavi sconfitti e crocifissi. Vogliono addentrarsi lentamente in quella che fu l’immensità dell’agro romano, fin verso le pendici dei Castelli. Immensità che i due Parchi, uno Regionale ed uno Statale, sono pervenuti a tutelare per una estensione ragguardevole e mirabile di 3500 ettari.
Scelgono di procedere a piedi per nulla perdere dell’ “introibo” alla Regina Viarum, convinti di entrare in un oasi di silenzio e di memorie, per una intera indimenticabile giornata che li porterà con 8 km al sovrappasso del GRA. E da lì fino alle falde dei Castelli.
Accade purtroppo che dopo 35 dall’ istituzione del Parco regionale e dopo 8 dall’ istituzione del Parco Archeologico statale, la via Appia Antica, che appartiene alla gestione comunale, (nel sensi delle competenze attribuite all’ente comunale per il traffico), sia uno spazio occupato “militarmente” dal traffico automobilistico ed ancora peggio da “un traffico di attraversamento” della città che mette in comunicazione Zona est e Castelli con zona Ovest (lungotevere, Vaticano Prati, Tribunali, Foro Italico), e viceversa.
La strada in direzione Sud ha una certa larghezza nei primi 800 metri, da Porta San Sebastiano al Quo Vadis e bivio Ardeatina.
Da qui all’ innesto con la Via Appia Pignatelli che scolma il traffico di attraversamento verso l’Appia Nuova sono altri 1200 e qui la strada sempre pavimentata a sampietrini si fa talmente stretta da dover installare le targhe Autobus schiacciate sui muri, piuttosto che a bandiera.
Per tutti i complessivi 2 km le auto e molto spesso pullman e piccoli autobus urbani sfrecciano veloci in assenza di botteghe e di marciapiedi costringendo i piccoli gruppi, le coppie e le famigliole a mettersi in fila indiana rasente i muri. In un rumore generato dal rotolamento sui sampietrini che rimbalza e rimbomba da un muro all’ altro, per il quale l unica dizione adatta è: ” rumore infernale”. Senza considerare lo stress di dover confidare nella destrezza e nella capacità degli autisti che provengono alle spalle o di fronte di evitare donne uomini e bambini.
Migliaia di turisti ogni anno si incamminano pensando alla bellezza ed al silenzio della storia e dell’archeologia che li attende, ed invece si trovano in un ” inferno” fin quando raggiunta la Basilica di San Sebastiano e il Circo di Massenzio non possano tirare un sospiro di sollievo, finalmente liberi dai mostri rombanti.
Ci furono in tempi migliori progetti di attraversamento in tunnel di tutto il Parco. Poi altri ancora più piccoli e praticabili.
Oggi non è tempo di riesumare questi sogni.
Oggi è tempo di chiedere allo Stato, alla Regione ed al Comune di istituire un sistema di controllo telematico della velocità, imponendo quella velocità dei 30 km/ ora, che sono già realtà i tanti centri storici d’Europa e d’Italia. E che vanno reclamati a gran voce per una arteria che corre al centro di una area archeologica, difesa, osannata, cantata ed alla fine ottenuta nel corso di 60 anni, a partire dal 1955. (Primo articolo di Antonio Cederna).
Lo diciamo battendo i pugni sul tavolo. Lo dovrebbero fare tanti altri oltre noi, a cominciare dalle Istituzioni pubbliche spesso alle prese da corse in avanti verso ambigue sostenibilità, lo dovrebbero fare tutte le componenti economiche che vivono il grande business del Turismo.
Poiché le disillusioni e le giuste lagnanze di chi incappa in “questo inferno” non faranno bene al buon nome di Roma ed a tutto ciò che ad esso si lega.
Nel frattempo sembra che l’intorpidimento politico verso la grande svolta urbanistica e culturale che portò alla legge sui Parchi regionali ed alla felice gestione dell’Appia Archeologica sotto il Soprintendente La Regina, abbia il sopravvento su tutto.
L’ Appia annovera proprietà pubbliche importanti nella Caffarella comunale con circa 150 ettari, nel Parco degli Acquedotti comunale con altri 150 ettari,
Nel Circo di Massenzio Comunale (20-25 Ha) ed ancora nella Villa dei Quintili giunta a 30 fantastici ettari con l’aggiunta della tenuta di Santa Maria Nova. Ed ancora i 40 ettari tutti ad Est della Villa dei Sette Bassi e con il gioiello delle Tombe Latine.
Ciò non può tuttavia tranquillizzare. Il Parco nasce con un corredo assai pesante di Ville di lusso che costeggiano da vicino e subito al di là delle macere la via antica e basolata. Che hanno materializzato una vera e propria configurazione urbanistica solida e immodificabile ed impenetrabile. Un pesante fardello, che non si è riusciti a scalfire neppure intorno a Cecilia Metella, nel nobile scopo di restituire alla vista ed alla vista il circuito murario del Castrum Caetani.
Nei lunghi anni nulla a partire dal 97 nulla è accaduto di positivo nella conservazione delle tenute agricole storiche gravitanti intorno alla zona monumentale centrale, se non il loro abbandono, la lenta decadenza di casali storici, aggravato il tutto da divieti di transito sempre più preoccupanti per i visitatori e per la sentieristica che non decolla. E da piccolo abusivismo.
Ad una consistenza di Pubblico demanio che si incontra in senso longitudinale, parallelo all’Appia, non corrisponde una altrettanto importante e valida consistenza di Pubblico Demanio in senso trasversale, che consenta ai cittadini di appropriarsi di un percorso irrinunciabile da Tor Marancia alla Caffarella ed agli Acquedotti. Che consenta di leggere e di godere dei margini della Colata lavica, (Farnesiana) che sopraelevata sulla città dà misura e dimensione al grande bene territoriale. Dove quel paesaggio e quei casali devono essere assolutamente acquisiti insieme all’ unico bosco originario: il bosco Farnese. Ed ancora per poter localizzare gli insediamenti medioevali posti in quell’ altipiano di Capo di Bove, per poi spaziare verso est al di là dell’Appia su campi coltivati (Olivetaccio).
A tutto questo bisogna aggiungere che quella tenuta strategica acquisita al pubblico demanio comunale, in nome dell’Appia, ma ancora dal confine del Parco esclusa sta correndo rischi impensabili. Con un reiterato progetto comunale ove concentrare tutti i di Rottamatori di automobili di Roma (tenuta della Barbuta).
La verità è che il meccanismo deleterio del “Casale della Giostra” è sempre in agguato.
Accadde nel 1994 e fu un episodio, temuto, annunciato e divenuto poi fatto compiuto irreversibile.
Il Casale della Giostra era un piccolo parallelepipedo di mattoni con un tetto a due spioventi e assai male in arnese. Era al centro di una tenuta di circa 14 ettari. Posti alle spalle di Cecilia Metella. Così importante che era l’unico modo di osservare e raggiungere il monumento simbolo dell’Appia dalle spalle, vedendolo avvicinarsi nella possanza dell’incastro con il mastio medioevale situato nel punto più alto. Il podere era come appena arato, privo di vegetazione e in ciò rammentava le visioni più consonanti con un passato lontano di almeno un secolo.
Un privato comprò ottenne il restauro, chiuse i confini con una elegante cancellata di tipo archeologico, e ciò nonostante invalicabile. Mentre crescevano in breve siepi, ciuffi di oleandri ed alberi ben curati e ben distribuiti. Era nata dal nulla una grande villa di lusso, “Hollywoodiana” si disse, e il proprietario fu padrone di tali vedute per sempre e per se’ stesso. Che abbia in seguito aperto a visite nulla conta rispetto alle idee ed alle aspettative di pubblicità, di demanio statale e di pubblico godimento di paesaggi famosi nel mondo, con cui si affermò il sogno dell’Appia.
La tenuta della Farnesiana (20 Ha) rimasta sospesa in un limbo di abbandono da 25 e più anni e la vendita di 11 proprietà agricole della Fondazione Gerini ci tengono tuttora con il fiato sospeso.
Nuovi acquirenti, nuovi ricchi in cerca della propria personale reggia, con vari ettari di giardini creati dal nulla sono in agguato, a formare ” enclave riservate e proibite”, quali si formano in un nuovo mondo globalizzato e protette dagli altri. Intesi come altri i cittadini di Roma, questa volta e lungo la via più sacra alla storia. Interessi pubblici, aspettative dei cittadini, doveri indissolubili di gestione volta al restauro ed alla conservazione con e mediante la proprietà pubblica, potrebbero sparire in un battibaleno.
Con tutta la storia di impegno e civiltà profuse per decenni da intellettuali, semplici cittadini, Associazioni e dalla stessa politica rischiano di sparire e dileguarsi sotto la spinta di interessi concreti e sempre più protetti.
Questa conferenza stampa è un grido di allarme.
Non permettete che tutto ciò che costituisce la programmazione, già impressa nel piano di Assetto, per portare a termine questa mitica costruzione di conservazione e di civiltà si arresti per sempre, sotto due o tre colpi mal assestati e poi definiti imprevedibili.
L’Appia oggi e per sempre ad onore e decoro di Roma moderna.
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