Appello alle organizzazioni sindacali della scuola
Con l’approvazione degli otto decreti delegati in consiglio dei ministri lo scorso 14 gennaio, la scuola pubblica si trova a dover fronteggiare un nuovo attacco in nome delle politiche di austerità per peggiorare le condizioni di lavoro e tagliare l’intervento pubblico in un settore che garantisce un diritto fondamentale, il diritto allo studio degli studenti e delle studentesse. I decreti delegati completano la controriforma della legge 107 del 2015, smascherandone ulteriormente le intenzioni. I decreti prevedono tra l’altro: una ulteriore squalificazione delle scuole professionali, sempre più distinte dalle altre scuole superiori e sempre più vicine alla formazione professionale che dovrebbe invece essere svolta dopo il percorso scolastico e a carico delle imprese; il depotenziamento del sistema di inclusione scolastica delle persone con disabilità, in cui l’Italia è all’avanguardia nel mondo, attraverso la massiccia riduzione degli organici di sostegno, la negazione del diritto alle persone con gravi disabilità di poter conseguire la licenza di terza media, l’innalzamento del tetto di alunni per classe; una riforma del sistema di reclutamento degli insegnanti che condannerà alla precarietà a vita i nuovi assunti, dopo un periodo iniziale di tre anni sottopagati e sottoposti alla valutazione dei presidi ogni anno; l’obbligatorietà e la pervasività delle prove Invalsi, obbligatori per accedere agli esami del primo e del secondo ciclo di studi, per accedere alle facoltà a numero chiuso e che verranno inserite nei curriculum degli studenti. Così come ci siamo opposti e continuiamo a chiedere l’abrogazione della legge 107, esigiamo che i decreti delegati vengano ritirati.
La legge 107 ha già dimostrato nei suoi primi anni di applicazione di essere inadeguata e dannosa per la scuola italiana. Il sistema della chiamata diretta e il bonus per il merito degli insegnanti stanno producendo nelle scuole divisioni, comportamenti arbitrari dei dirigenti e costituiscono una minaccia alla libertà d’insegnamento costituzionalmente garantita. L’alternanza scuola-lavoro obbligatoria nelle scuole superiori sta portando i nostri studenti a fornire manodopera gratuita perdendo tempo in attività per niente formative, che hanno il solo scopo di abituare gli studenti all’ubbidienza, allo sfruttamento e alla precarizzazione della forza-lavoro nel quadro della globalizzazione neoliberista. Intanto le scuole italiane continuano a soffrire della carenza degli organici dei docenti come del personale ATA, di docenti di sostegno specializzati, di strutture sicure ed attrezzate per la didattica, che si svolge sempre in classi sovraffollate.
Le condizioni di lavoro nelle scuole sono molto cambiate a partire dalla sottoscrizione del CCNL nel 2007, ormai dieci anni fa. Sui nostri rapporti di lavoro sono intervenute pesantemente la legge Brunetta e la buona scuola, dal 2009, anno in cui avrebbe dovuto essere rinnovato il contratto, i dipendenti pubblici hanno perso circa 300 euro al mese in termini di potere d’acquisto degli stipendi. Oggi il governo promette 85 euro di aumento medio lordo, e un peggioramento della parte normativa, che dovrebbe assumere i peggioramenti operati dalle leggi e introdurne di altri, puntando a ridimensionare o eliminare il criterio dell’anzianità nella progressione stipendiale dei docenti. Le lavoratrici e i lavoratori della scuola hanno invece bisogno di un rinnovo del contratto che restituisca dignità, anche dal punto di vista economico, al proprio lavoro e che ricostruisca un clima di collegialità e partecipazione nelle scuole, scardinando le divisioni introdotte dalla buona scuola e mettendo i lavoratori nella possibilità di poter collaborare tra pari e gestire le istituzioni scolastiche nello spirito costituzionale di garanzia del diritto all’istruzione di qualità per tutte e tutti.
Su questi tre punti: ritiro delle deleghe, abrogazione della legge 107 del 2015 e rinnovo del contratto collettivo nazionale di lavoro è necessario ed urgente che riparta una mobilitazione unitaria che coinvolga, come è stato nel 2015, tutta la categoria e vada oltre nel coinvolgimento degli altri lavoratori e lavoratrici, in prima persona interessati alla difesa del diritto all’istruzione per i propri figli.
In questo senso abbiamo letto come un’occasione di allargamento e di ripartenza del movimento per la scuola pubblica l’appello: “8 marzo la sfida di uno sciopero femminista globale”, lanciato dal coordinamento di donne Non una di meno.
Facciamo appello anche noi a tutte le organizzazioni sindacali che hanno promosso e partecipato alla mobilitazione contro la buona scuola di rispondere positivamente a quell’appello, con l’indizione dello sciopero della scuola per l’8 marzo, in concomitanza con quello contro la violenza sulle donne, in modo che le due mobilitazioni si rafforzino reciprocamente.
Chiediamo quindi ai sindacati di base che hanno già indetto uno sciopero per il 17 marzo, sciopero necessario e condivisibile, di spostare la data all’otto marzo, e a tutti i sindacati della scuola di aggiungersi all’indizione di sciopero per l’otto marzo, considerando la preponderanza femminile tra i lavoratori della scuola e comunque la sensibilità nel nostro settore alle rivendicazioni di un movimento mondiale contro la violenza sulle donne, e che le promotrici di questo movimento in Italia hanno espresso una forte sensibilità verso le nostre rivendicazioni in difesa della scuola pubblica.
Ovviamente non basterà un giorno di sciopero a mettere in discussione le politiche di austerità nella scuola, occorre far ripartire un grande movimento di massa. Per questo riteniamo che le organizzazioni sindacali, i lavoratori e le lavoratrici autoconvocate/i, le associazioni e i movimenti della scuola debbano rimettersi attorno ad un tavolo, come è stato nell’assemblea nazionale dello scorso 21 gennaio, per concordare un percorso comune di mobilitazione. Tuttavia, pur auspicando l’unificazione delle mobilitazioni, sosterremo comunque tutte le date di sciopero in calendario.
Invitiamo infine tutte e tutti a partecipare al presidio nazionale del 23 febbraio presso Montecitorio per il ritiro dei decreti legislativi sulla scuola
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