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Antologia di una popolazione

Gennaio 10
09:53 2013

Il termine “antologia” deriva dal greco ánthos (fiore) e léghein (scegliere). Indica, quindi, una raccolta di fiori ed è comunemente adoperato per indicare le raccolte di brani e poesie editi in un solo volume. Credo sia un termine indicato anche per la nostra società. Ormai viviamo in città in cui culture varie e molto diverse tra loro convivono dando vita a una società multiculturale, cioè a una pacifica convivenza tra diversi gruppi culturali, linguistici, religiosi nel medesimo spazio territoriale, mantenendo ognuno intatte la propria identità e appartenenza culturale e sociale diramandosi sempre più, fornendoci anche un’ampia offerta dei loro prodotti, dai ristoranti ai negozi di abbigliamento, fino ad arrivare a locali di intrattenimento, a corsi di ballo e spettacoli teatrali.

Ogni cultura racchiude in sé il mistero delle proprie credenze, usi e costumi, strettamente connessi al luogo in cui è nata, al clima e allo stile di vita che ne ha caratterizzato la mentalità. Nei nostri giorni viviamo in una società multiculturale in cui ci viene offerto un arricchimento reciproco dato dai soggetti che vi interagiscono. Così, come un mazzo di fiori variopinti e diversi tra loro crea la bellezza e l’originalità, i nostri immigrati stanno colorando e arricchendo di bellezza la nostra Italia. Soprattutto in questi giorni di crisi è facile vedere la tristezza sui volti degli italiani, costretti a dover rinunciare a molte loro abitudini e minacciati da un futuro in declino, ma è altrettanto facile vedere il sorriso sui volti di extracomunitari che arrivano da situazioni ben diverse dalla nostra e che, apprezzando la vita, hanno saputo lasciare tutto per migrare, con l’istinto della natura, imitando gli stormi di uccelli che cercano ambienti più miti. Per loro l’Italia è un luogo mite, in cui però chi vi vive da sempre non riesce più ad assaporarne il gusto, deluso dalla politica, ferito e amputato dalla crisi, privato di ogni valore morale che caratterizzava la sua vita passata. Basta guardare i film storici che rappresentano le tipiche famiglie italiane, per potersi rendere conto dell’importanza della famiglia, oggi ormai frantumata e appartenente a un passato talmente remoto da rimanere solo un ricordo di pochi. Ma chi sono questi immigrati che convivono con noi, hanno figli che crescono con i nostri figli, popolano il nostro quotidiano e spesso si prendono cura dei nostri familiari. Spesso sono persone di altre religioni e ci mostrano il vero senso della religiosità, hanno lasciato tutto e non sanno se ritorneranno più nella loro terra. Una terra d’origine decantata dai poeti come “terra madre”. Sono lo specchio di quanto cantava Ugo Foscolo in A Zacinto: «Né più mai toccherò le sacre sponde, ove il mio corpo fanciulletto giacque, Zacinto mia (…) a noi prescrisse il fato illacrimata sepoltura». Molti di loro non sanno neanche se torneranno nella loro terra da morti o se saranno sotterrati in terra straniera, privati della visita dei familiari. Forse, un giorno un visitatore curioso si fermerà a leggere la loro lapide e dirà loro una preghiera e si commuoverà. Ma, come vengono accettati dalla nostra società? La tendenza all’uso del modello “assimilazionistico” è stato superato, in quanto non risultato adatto a integrare gli immigrati. Solo attraverso una modifica di vedute e adoperando un’apertura di mentalità, si è raggiunto un riconoscimento e la comprensione della diversità, letta come arricchimento reciproco. Un altro modello utilizzato dagli stati d’immigrazione è stato il cosiddetto “multiculturalismo”, predominante in Inghilterra, anche se in esso sono state riscontrate delle carenze. Si tratta del tipico processo di differenziazione culturale che tende verso politiche di inferiorizzazione e controllo dei migranti. Come sosteneva giustamente Lazzarini nel 1993: «La prospettiva di una società interculturale è il risultato di uno sforzo comune».

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