Amianto in G. di F. – diritti negati
Il ricorrente, nel primo livello del giudizio, con particolare riferimento alla Caserma Campo Marzio (dove la causa prevalente dell’inquinamento è stata la vetusta e degradata centrale di trattamento dell’aria che ha veicolato l’asbesto nell’edificio), attraverso il suo perito di parte, aveva ampiamente dimostrato l’esposizione ultradecennale alla letale fibra killer, oltre i limiti di legge, e, nel contempo, aveva chiesto la rinnovazione della consulenza tecnica d’ufficio (CTU), che nel suo conteggio, aveva considerato i valori dell’amianto rilevato, nella centrale dell’aria, a macchine spente e coperte dai collanti prima della bonifica, quindi esponenzialmente inferiori al dato reale; ma il giudice, considerando, erroneamente, il periodo in esame, dal 1989 al 2001, di soli due o tre anni (in realtà circa dodici… cioè più di quanto richiesto per concedere il beneficio) aveva ritenuto di andare a sentenza, negando il ricorso; ma anche era stato segnalato che la CTU, per quanto concerne la caserma F.lli Bandiera, aveva riportato, erroneamente come di 180 metri la distanza tra cantiere navale (che usava l’amianto) e caserma, in realtà adiacenti, dando corso, pertanto, ad un computo di esposizione inferiore. Purtroppo, nella sentenza di appello (959/2014) non si evince particolare attenzione alle tali, predette e fondamentali, motivazioni, chiaramente indicate nell’impugnazione; e pure nelle motivazioni finali, dove si parla di difficoltà a ricollocarsi al lavoro (restrizione che non si ritiene potersi assoggettare, in maniera univoca, ai sensi dell’art. 13 L. 257/92, comma 8, cespite del primo ricorso) e di assenza di patologia per amianto, a cui è, semmai, dedicato il comma 7 dello stesso articolo, che non è in questione (… ma, nonostante tutto, l’interessato ne aveva allegata una, riconosciuta dipendente da causa di servizio ministeriale). Un caso inquietante, così come anche lamentato dalle parole dell’interessato: “Cassando il mio ricorso i giudici della Corte dei Conti di secondo grado che hanno trattato l’appello, non hanno, prima di tutto, sanato l’errore del loro collega del Friuli Venezia Giulia, ben evidenziato nella mia opposizione,: dal 1989 al 2001 non sono due o tre anni ma circa dodici di esposizione all’amianto oltre i limiti di legge; ciò significa, nei fatti, che l’esposizione, avvenuta per centinaia di colleghi che hanno lavorato come me nei luoghi indicati, trattandosi di una causa pilota, non verrà riconosciuta, non si procederà alla necessaria sorveglianza sanitaria per salvare delle vite e i molteplici casi sospetti di ammalati e deceduti, per patologie asbesto-correlate, non verranno indagati e risarciti, se riconosciuti tali; tra l’altro, non mi risulta che il giudice di primo grado abbia passato le carte in Procura, una tale situazione di inquinamento, oltre i limiti di Legge, anche se di soli due o tre anni (…secondo il suo errato conteggio), genera delle conseguenze note e prevedibili…
Questa sentenza, inoltre, quale inaccettabile precedente, danneggia pesantemente il diritto dei finanzieri, esposti nei luoghi in questione, e, più in generale, quello di tutti i militari italiani, che hanno giurato fedeltà alla Repubblica e che, stando ai fatti, non vedranno mai riconoscersi il beneficio previdenziale per essere stati esposti, quasi sempre a loro insaputa, al mortale minerale, con la prospettiva di ammalarsi e morire, in barba ai loro affetti più cari, anche dopo 40 anni e più dall’esposizione, senza sapere, neppure, il perché.”
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