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Ambiente: le microplastiche scalano la catena alimentare attraverso piante e animali, afferma lo studio

Ambiente: le microplastiche scalano la catena alimentare attraverso piante e animali, afferma lo studio
Maggio 26
08:12 2023
 

Il team ENEA, insieme ai ricercatori dell’Istituto di Ricerca sugli Ecosistemi Terrestri del Cnr coordinati da Massimo Zacchini, ha studiato gli effetti delle microparticelle di polietilene (PE), uno dei materiali plastici più comuni dispersi nell’ambiente, su organismi d’acqua dolce, piante e animali. In particolare, le specie utilizzate sono state Spirodela polyrhiza, la cosiddetta lenticchia d’acqua, una piccola pianta acquatica galleggiante, ed Echinogammarus veneris, un crostaceo d’acqua dolce simile a un gambero, che è l’alimento base di pesci come la trota. Le piante sono state immerse in acqua contaminata da microplastiche di circa 50 micrometri – più piccole di un capello di larghezza – e dopo 24 ore trasferite nella vasca dei gamberetti.

I risultati hanno mostrato che durante l’esposizione le piante, oltre ad una leggera riduzione del contenuto di clorofilla, hanno accumulato un’elevata quantità di microplastiche sulle radici di cui si nutrono i crostacei, ingerendo in media circa 8 particelle per campione. Inoltre, è stato anche possibile dimostrare come le microplastiche, una volta ingerite dai crostacei, vengano scomposte e “restituite” all’ambiente sotto forma di escrementi, che possono rientrare nella catena alimentare, la cosiddetta “catena alimentare dei detriti”, in modo potenzialmente più pericoloso di quella iniziale.

“Questo studio mostra chiaramente, all’interno di un sistema di laboratorio controllato, i meccanismi attraverso i quali le microplastiche entrano e risalgono la catena alimentare”, ha sottolineato Valentina Iannilli, ricercatrice ENEA presso il Laboratorio Biodiversità e Servizi Ecosistemici. “Le piante, infatti, avevano il ruolo di ‘raccogliere’ e ‘trasferire’ queste particelle ai crostacei che a loro volta accumulano microplastiche anche nei muscoli, che sono le parti che mangiamo”.

Infine, sono stati valutati gli effetti diretti delle microplastiche sul DNA dei crostacei, per capire se potessero indurre anche genotossicità, cioè danni al materiale genetico. Dopo solo 24 ore, è stato possibile osservare come gli individui “trattati” con le microplastiche presentassero un livello significativamente più elevato di frammentazione del DNA rispetto a quelli non trattati, dimostrando come queste particelle siano effettivamente in grado di indurre danni al DNA nelle cellule.

“Questo significa che le microplastiche, lungi dall’essere inerti come spesso viene riportato, si arrampicano lungo la catena alimentare e interagiscono con materiali biologici con effetti diretti anche sull’integrità del patrimonio genetico e potenziali conseguenze a lungo termine su popolazioni, comunità e interi ecosistemi”, ha detto Valentina Iannilli. “Un risultato – ha concluso – che dovrebbe farci riflettere sugli effetti nefasti del rilascio di queste microscopiche particelle nell’ambiente, anche in considerazione della loro diffusione in tutti gli ambienti, come acqua, suolo, aria e ghiaccio artico”.

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