“Alla vita” (Tu choisiras la vie), la terra di nuovo ai terrestri….
Tanto più interessante e diverso da altro cinema questo Alla vita lavoro d’esordio alla regia di Stéphane Freiss, già attore francese, con la faccia popolare, eppure ancora non del tutto indagata, di Riccardo Scamarcio e i tratti delicati e la presenza naturale di Lou de Laâge.
La prima traccia è quella della ricerca della libertà fuori dai codici imposti ad ognuno fin da piccolo. Gli steccati trovati alla nascita sono quelli che per essere visti come tali, impongono una grande presa di coscienza. Poche persone riescono nell’intento, pochissime in giovane età, quasi nessuno fra quelli che credono di essere liberi da condizionamenti (specialmente europei che si credono ‘nati liberi’). Qui la ricerca è duplice: una giovane ebrea ortodossa francese, soffre i suoi vent’anni a causa del costume religioso familiare che, ormai, vive solo come stato d’angoscia profonda e limitazione. Sentire che si acuisce al sole del sud, quando per motivi legati alla Festa di Sukkot, la sua famiglia devia dalla quotidianità per andare a cercare cedri kosher, ovvero non innestati, da uno storico produttore calabrese. L’altra ricerca è quella del figlio, erede del produttore, prima scappato dalla sua terra per l’angoscia provata da giovane nei confronti di una tradizione imposta (lavoro come dogma e sacrificio, non tenere nemmeno la sedia voltata verso il mare, pure splendido e brillante proprio davanti la sua tenuta, ma sempre verso i campi) e poi tornato, quando la terra non la vuole più nessuno.
La seconda traccia è quella della esplorazione dei desideri del corpo. E il comprendere se proprio di quelli si tratti: i due protagonisti si rispettano (molto diverse le loro età, momenti di vita differenti) avendo coscienza del fatto che non proprio tutto è possibile. Però si cercano, ognuno come riferimento all’altro, per affinare lo sguardo sulle prossime libertà, che per il regista, finalmente, non sono solo quelle sessuali, come effettivamente non sono solo quelle nella vita vera. Spogliare i due dei vestiti e girare una bella scena di sesso sarebbe stata la cosa migliore da farsi per molto cinema, ma qua, per l’appunto, si ragiona non sul banalmente possibile ma sul realistico: non in tutte le occasioni della vita ci si ritrova nudi e belli, pronti a consumare per restare poi, spesso, a mani vuote come prima.
Qua l’educazione di provenienza conta e i due sono una ragazza e un uomo separato con tre figli bambini e sono eredi di due tradizioni diverse, in parte castranti, in parte fortemente informanti i due individui e la comunità nella quale si ritrovano a vivere, che i due non intendono ignorare. Si sfiorano, in molti modi, tradizionali o social e parlano molto, e cercano soluzioni alla loro condizione affratellandosi, senza lasciar andare i punti di domanda ché la parte interessante delle risposte è anche il percorso per arrivarci.
Si ritrovano nel giardino dell’Eden, infine, i pensieri ‘neri’ affogati in un sole che sembrerebbe non lasciare spazio ai dubbi: loro d’altronde, hanno troppi appuntamenti col giorno che viene, con le cose che ci sono da fare, per poter continuare a dubitare o sottostare a tradizioni di secoli prima, autoriferite in alcuni casi, e peggiorative della vita femminile o castiganti l’individuo, figlie d’altre epoche.
Similmente a Chiamami col tuo nome di Luca Guadagnino, qui il giorno è scandito dai corpi, dagli incontri, dalla decisione, non discendente da sceneggiature raffazzonate, di stare seduti o in piedi: perché anche dove si porta il corpo chiarisce di quante parti diverse siamo fatti; si recupera il tempo della villeggiatura che non è solo vacanza ma è pensiero, lavoro, divertimento, lettura, un otium completo e prolifico.
Si potrebbe dire che a differenza del film di Guadagnino, qui non si risolve nulla col desiderio bruciante, col sesso traboccante ma, riflettendoci, neppure in Guadagnino quel sesso risolve i rapporti fra le persone, se non nelle attese, negli attimi in cui avviene: perché poi i corpi, quando si spostano, fanno altro e la catena del desiderio bruciante non sortisce né affezione all’altro né amore, com’è vero che è così…che l’individuo vive di molti sentimenti e istinti diversi, tutti utili per potersi descrivere come tale. Bella la fotografia calda senza enfasi, satura di luce di Michele Paradisi. (Serena Grizi)
Non ci sono commenti, vuoi farlo tu?
Scrivi un commento