Aldo Onorati intervista lo scrittore Paolo Pinto
Paolo Pinto non ha bisogno di presentazioni, perché pure nei Castelli Romani è molto conosciuto, oltre che a livello nazionale (il suo libro Vittorio Emanuele II, il re avventuriero, edito da Mondadori, è stato accluso in centomila copie al quotidiano “Il Giornale”). Fra le sue opere più conosciute e apprezzate: Il Savoia che non voleva essere re, ed. Piemme: si tratta della puntuale biografia di Umberto I, una pietra miliare di rivisitazione storico-politica, scritto con mano maestra; soprattutto, credo, Carlo Alberto, il Savoia amletico, nel quale Pinto dimostra non solo una profonda conoscenza dell’Ottocento europeo, ma una capacità di scavo psicologico raro ai nostri giorni di scrittura che va dal crepuscolarismo rivisitato a un non meno stanco neorealismo. Inoltre, con Newton-Compton ha pubblicato l’opera omnia di Marcel Proust in otto volumi, con un’appendice gigantesca in cui sono compendiati e citati tutti gli studi sul grande scrittore francese.
È stato caposervizio del quotidiano “Il Popolo” e collaboratore della Rai-Tv. Di recente ha riedito L’amore segreto di Cavour con il titolo Nina pazza per amore.
Dicevo dei Castelli Romani. Infatti, con il sottoscritto, Paolo ha curato l’edizione critica del libro di memorie di Massimo D’Azeglio I miei ricordi con ampio saggio di prefazione. Sullo stesso autore e uomo politico ha scritto Massimo D’Azeglio: il sogno di un’Italia diversa (Solfanelli).
A lui, nella sua ampia casa romana, le cui pareti sono tappezzate di libri, fra un ascolto e l’altro di musica classica (passione che ci unisce da decenni – Pinto è anche un raffinato critico musicale), ho chiesto quanto segue.
D. Oggi i libri si vendono sempre di meno. Quali secondo te le cause?
R. Le cause sono tante. La prima e la più importante è che è cambiato (in peggio) il mondo. Nel primo volume della Recherche di Proust il protagonista bambino ricorda con emozione il momento in cui la madre gli regalava dei libri: lo stupore della sorpresa, l’impazienza di poter leggere qualcosa di nuovo, e così via. Che voglio dire? Che in altri tempi, neanche troppo lontani, le famiglie partecipavano alla formazione dei figli, e il libro aveva un grande valore culturale ed educativo. Oggi tutto è affidato alla buona volontà degli insegnanti e, si sa, non sono tutti di gran valore. Così i ragazzi leggono poco, e chi non legge in età adolescenziale, difficilmente leggerà da grande. Dunque, responsabilità della famiglia, ma anche della scuola. C’è poi da aggiungere che tutte le società avanzate si sono corrotte e sono in decadenza. I responsabili principali di questo deserto culturale sono la televisione e internet, ma anche i giornali sono assolutamente inadempienti.
D. Come mai le cosiddette grandi editrici puntano molto sui libri (o non-libri) dei divi, dei calciatori, dei mezzi busti televisivi?
R. È sempre lo stesso discorso: la cultura è considerata noiosa, e gli intellettuali noiosissimi. Così ci si butta sui personaggi conosciuti, quelli appunto che vanno in televisione, anche se sono ignorantissimi. Il risultato poi non sempre è incoraggiante, anche sul piano commerciale.
D. Prima, pubblicare con un editore industriale dai grandi mezzi era una sicurezza di successo. Oggi lo è ugualmente (mi riferisco a autori inediti o poco noti)?
R. Decisamente no. Il grande successo di un libro è legato a un gran numero di fattori imprevedibili, e raramente fra questi fattori c’è la qualità letteraria. C’è poi un’altra considerazione da fare: i libri pubblicati sono troppi, e il risultato è che i nuovi arrivati in libreria scacciano i precedenti.
D. Tu hai pubblicato con grandi case: Mondadori, Rizzoli, Piemme, Newton etc. Un tuo libro è stato accluso in 100 mila copie al quotidiano “Il Giornale”. Insomma, sei un Big. Però di recente hai riedito L’amore segreto di Cavour – che aveva pubblicato Camunia – con Solfanelli. La mia domanda è: cosa comporta per l’autore pubblicare coi grandi editori? Essi sono ancora sinonimo di qualità e di successo sicuro di un libro?
R. Il grande editore ti dà maggiore credibilità e accarezza la tua vanità. Ma, a parte il prestigio, una tiratura più alta, un vantaggio economico, una distribuzione migliore (quello della distribuzione è un altro grosso problema), il libro resta comunque marginale perché dopo un mese arrivano gli altri, e il tuo diventa quasi introvabile. Infine, c’è da osservare che gli editori promuovono presso la stampa o pubblicizzano solo quei pochi (quasi sempre i cosiddetti non-libri) che, a tavolino, è stato deciso siano dei best seller. Il piccolo editore spesso segue i libri che pubblica con più attenzione, ma ha comunque le difficoltà del piccolo editore.
D. Cosa si può fare per restituire dignità ai libri e agli autori?
R. Servirebbe una sorta di rivoluzione copernicana. Mettere nuovamente la cultura in primo piano. E quindi parlare di cultura in televisione, sui giornali, in tutti i luoghi (compresa la famiglia) dove si fa, o si dovrebbe fare, formazione. E non dimenticare mai che, piaccia o non piaccia, noi siamo quel che siamo stati, cioè non dobbiamo perdere la memoria storica, che è poi la nostra identità.
Non ci sono commenti, vuoi farlo tu?
Scrivi un commento