Alberi: il linguaggio degli esperti o la cattiva coscienza di certa ‘politica’
(Serena Grizi) Poiché anche la testata Controluce.it dà molto spazio alle manifestazioni che promuovono l’ecologia, le tematiche ambientali di più ampio respiro, il restauro di giardini, l’impianto di nuove aree verdi; poiché la forma più di qualche volta è sostanza; poiché alcuni percorsi ‘ambientalisti’ degli ultimi decenni non hanno fatto altro che reiterare forme di ignoranza senza per altro spostare d’un millimetro, non diciamo l’opinione pubblica che spesso può restare a sentire, a leggere, a guardare molti temi dell’informazione senza per altro dover conoscere le dinamiche di ogni settore, ma almeno la consapevolezza di coloro che si definiscono addetti ai lavori, a favore di un linguaggio corretto che diverrebbe sostanza e fonte di idee. Considerato che in tutta Italia, e nello specifico nel Lazio, esistono professionisti e perciò scambi di idee tra gli stessi che si possono a buon diritto riconoscere come scambi politici, questi sì, poiché l’associazione di detti professionisti, la loro azione, la stima e la fiducia che enti privati e pubblici, fondazioni e cittadini ripongono in coloro che tutti i giorni si occupano della salute dei giganti della natura, gli alberi, in relazione alla incolumità pubblica, ai manufatti accanto ad essi, è ad ogni buon conto un intervento sulla gestione della cosa pubblica e privata esercitato con gli strumenti della scienza (e della coscienza), riportiamo un breve passo del libro Amici Alberi – semplici regole per trattarli bene, Libreria della Natura, firmato dagli autori Roberto Barocchi, Aldo Cavani, e Giorgio Valvason: «Parliamone bene – Si sono diffuse come dei virus due parolacce: piantumare e piantumazione. I termini corretti per l’atto di piantare sono piantare e mettere a dimora; per indicare un’area in cui sono stati piantati degli alberi o alti organismi vegetali sono piantagione, piantata e, nel caso di filari, anche alberata. Un’altra parolaccia è essenze per indicare delle specie o varietà di alberi. Si sente talvolta dire “Piantumare le essenze”. Le specie e varietà delle piante si devono chiamare specie e varietà. Si può usare il termine essenze per indicare i tipi di legno come materiale: “Per costruire questo mobile sono state adoperate essenze di abete e noce.” Gli specialisti in arboricoltura parlano anche di foresta urbana. Per foresta si interne normalmente un’ampia area fittamente boscata; il termine, un po’ iperbolico, non è sbagliato perché rende il concetto dell’ampio insieme di alberi che deve popolare una città.» Segue l’avvertenza che il libro in questione contiene un breve glossario dei termini tecnici che ognuno potrebbe sentire e usare (e che si spera che sentirà perché questi qualificano un vero esperto), parlando con degli arboricoltori.
Il testo ‘stupisce’ in qualche modo per la compresenza di mondi, Barocchi è un architetto, Cavani un dottore forestale e Valvason un arboricoltore e divulgatore, che non sempre si sono stati simpatici. Qui, intelligentemente, mettono in comune i loro saperi, e di certo la condivisione d’un certo modo di vedere l’argomento ‘alberi e dintorni’, avvertendo probabilmente la necessità di fare un po’ di chiarezza in una materia che in Italia discende da un’antichissima tradizione, la quale sembra non godere più del necessario rispetto da parte di alcuni politici o pseudo ambientalisti. Il passo sopra riportato mette anche in guardia, a ben leggere, i neofiti dal ricevere consigli di ogni genere attorno al prezioso essere vivente albero (in merito alla sua messa a dimora, alle cure colturali, alla possibile sventurata ipotesi di doverlo abbattere in caso di grave malattia ove non sia possibile curarlo), da parte di persone che si auto promuovono esperti di alberi senza esserlo. In questo caso anche un linguaggio sbagliato può essere gagliarda spia di incompetenza. Qualche altra riga dalla preziosa prefazione di Mariangela Barbiero, traduttrice ed esperta di giardinaggio, presidente dell’associazione Tra Fiori e Piante: «Ma (il libro) dovrebbe essere anche letto dai molti giardinieri (giardinieri?) che armati di motosega sfregiano i nostri grandi amici, ma su questi con ci farei conto. Così come i giovinotti e le giovinotte mettono a repentaglio la loro e l’altrui vita guidando strafatti come se non avessero mai letto prima di incidenti stradali, e in effetti non leggono, ché leggere è tempo perso, così anche questi cosiddetti giardinieri sono nati imparati, vivono di leggende (la potatura fa bene all’albero) e sono a digiuno di estetica, per dirla in soldoni. (…) «È una questione estetica. (potare) Lo facciamo per noi, non per l’albero, perché ogni potatura sfortunatamente diminuisce la longevità dell’albero. Dunque un albero potato male è due volte disgraziato: muore prima e non ci allevia la vita con la sua bellezza». Meraviglie del parlare chiaro: aggiungiamo, come altre volte scritto in queste pagine, che la potatura poteva ancora capirsi nel dopoguerra, quando si spogliavano le piante per fare legna da ardere, ma si trattava di periodi in cui vaste masse della popolazione vivevano in condizioni d’indigenza. In molte città della Francia, a Praga, in molte isole greche, vivono meravigliosi esemplari arborei ‘cittadini’ davvero vetusti e mai ‘toccati’ da una potatura che sia una; l’albero è capace di auto escludere rami ormai inservibili e non si avvantaggia, invece, delle mutilazioni procurate dall’uomo, anzi…
La cultura è davvero una possibilità nei confronti degli amici alberi perché sullo pseudo ambientalismo e sulle false coscienze di chi vuole fare ‘politica’ (?) attorno ad argomenti che non conosce, questo come altri, si abbiano i dovuti strumenti di conoscenza, come in questo caso divulgati con massima chiarezza anche ai non esperti.
«Noi diamo così scontata la presenza degli alberi che restiamo sconvolti ogni volta che ne vediamo sparire uno, ma il nostro maggior difetto, e parlo solo dei miei connazionali perché solo loro conosco, è che prima che spariscano neppure li vediamo. O se li vediamo è perché occupano un posto dove sarebbe comodo parcheggiare», conclude Mariangela Barbiero.
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