Al voto! Al voto!
È dal giorno dopo le elezioni del 2006 che l’opposizione chiede di andare al voto, di dare la parola al popolo, di fornire all’Italia un Governo stabile. Quella che sembra la logica conclusione del Governo, nasconde molta polvere tra le pieghe. Una coalizione nata più contro Berlusconi che per il Governo, dimostratasi litigiosa e discontinua, sia nel proporre che nel cambiamento. I cattivi (la cosiddetta sinistra estrema) che avrebbero dovuto affossare Prodi con le loro richieste estremistiche, difesa del lavoro, potere d’acquisto dei salari, ritiro dalle missioni di pace, conflitti d’interesse, legge elettorale, e così via, si sono rivelati le fondamenta che sostenevano il Governo. Lo stesso discorso non è valido per le forze dette “moderate”, che con Dini, Mastella ed alcuni centristi, si sono rivelati la mannaia che ha decapitato la legislatura. Parte di loro sono già convogliati nel centro-destra, altri cercano dei raggruppamenti. E l’Italia che ruolo ricopre in questo scenario? Certamente non è piacevole pagare le tasse, che lo facciano gli Svizzeri, così come i Tedeschi si becchino la nostra immondizia. Sacrifici perché? Considerato che a farli sono sempre gli stessi, non certo i ricchi o i politici, tanto per dire. Rinunciare ad uno stile di vita? Giammai, prendi oggi, poi si vedrà. Una solidarietà nazionale si applica solo se un vantaggio è riservato alla nostra condizione individuale. La fine della legislatura ha evidenziato un fatto, ma ben oltre ha messo alla ribalta i problemi della società Italia. Fatti di corruzione o connessione malavitosa. Si sono verificati trionfi personali di uomini e donne politici, anche se alcuni non giuridicamente condannati, sicuramente moralmente ingiustificati. Dall’immondizia della Campania, alla Sicilia degli amici, al clientelismo politico-locale, uno spaccato dell’Italia che era e che è. Certo le scene sui media degli abitanti di Ceppaloni in festa ed orgogliosi di un clientelismo politico “perché così è”, lascia l’amaro dei diritti acquisiti dai cittadini italiani. Il “così fan tutti” è la sconfitta dei diritti civili nei confronti d’individui politici atti a tenere uno stato sociale sotto la propria protezione. Non da meno lo erano principi e marchesi del ‘700 – ‘800 e forse più. Un Governo in balia di “personaggi in cerca d’autore” (consentitemi la citazione pirandelliana), è nell’attesa di un’onda che lo scaraventerà sopra gli scogli. Non è un problema di sinistra, destra o centro, è un problema sociale italiano, non in grado di riappropriarsi dei diritti, dei doveri e di gestione dei poteri statali, impegno dei cittadini e non degli organi rappresentativi. Il contrasto dei poteri dello Stato, dove i politici sono esenti ed allergici a giudizi ed indagini giuridiche, richieste considerate oppressive della libertà, ma di chi? Non dei cittadini, salvo per coloro che hanno scelto un percorso ai confini dell’illegalità, della truffa, o dello sfruttamento degli individui. Non certo di coloro, che in qualunque modo, portano avanti iniziative o progetti di vita familiare e sociale. Non certo nella stragrande maggioranza, che vede nel lavoro e nella produzione il benessere individuale e della nazione. Di certo ha problemi chi difende interessi privati spacciati per sociali. La difesa di una casta, con indirizzo politico, o con principi al libero sfruttamento degli individui. L’arroccamento della condizione sociale raggiunta, in grado di affermare principi di classe o logica individuale. Potrei impunemente rubare un principio fondamentale: “ai ricchi ciò che gli appartiene, ai poveri quello che è dei poveri”. Benessere ed agiatezza per i primi, sacrifici e sfruttamento nel lavoro per gli altri. La politica italiana gioca nel campo delle impunità, forte l’interesse di mantenere alla classe politica il controllo di tutta la vita sociale. Il futuro, una speranza immediata e dei nostri figli. La chimera di un’equa condizione sociale, che releghi i politici nelle aule parlamentari e, fuori, come semplici cittadini rispettabili. Governare, e bene, non è un merito bensì un dovere. Nessuna chiave di comando per gli uomini politici; manager responsabili civilmente e penalmente del proprio lavoro.
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