Agricoltura. Smontata l’accusa di danno ambientale nei confronti di alcuni maiscoltori friulani
Con la sentenza del 28 marzo 2019, il Tribunale di Udine ha smontato le accuse di disastro ambientale mosse da un gruppo di apicoltori friulani nei confronti dei maiscoltori loro confinanti. Ben 52 capi di imputazione a carico di un numero non precisato di soggetti, rei di aver violato l’art. 452-bis del codice penale, punibile con reclusione da 2 a 6 anni e con confisca obbligatoria dei terreni. E questo per un’anomala moria di api bottinatrici, colpite – secondo l’accusa – dalle polveri di Mesurol 500 FS Bayer sollevate dagli agricoltori in fasi di semina. Un dramma per accusatori e per accusati, colpiti per mesi da sequestro preventivo e dunque privati di ogni forma di sostentamento.
Il pubblico ministero aveva sostenuto l’accusa, il GIP si era allineato con il PM, e solo uno scrupoloso triumvirato di giudici è riuscito a dipanare una complessa matassa che rischiava di paralizzare l’intero sistema agricolo italiano.
Fuori da ogni ragionevole dubbio, come sostenuto ufficialmente anche da Compag – la federazione nazionale delle rivendite agrarie – una sentenza si deve basare su cognizioni di natura scientifica e non su orientamenti personali o su prove parziali. La sentenza porta così in luce una serie di superficialità valutative che avevano indotto PM e GIP a sostenere i capi d’accusa. Innanzitutto è emerso che nessuno degli indagati ha mai manipolato direttamente il fitofarmaco Mesurol, avendone fatto uso solo attraverso sementi conciate con lo stesso, nei termini previsti dalla normativa europea. Decade quindi l’accusa di danno ambientale, in quanto la concentrazione della sostanza nel seme conciato non è tale da poterlo causare. La sentenza rileva inoltre l’assenza di prove che attestino danni ad altri esseri viventi, come pesci o volatili. Si sofferma poi sulla qualità delle testimonianze raccolte in fase di ispezione e portate in causa dall’accusa, quali il campione di una sola ape messo agli atti, e l’assenza di campioni di terreno, fondamentali per determinare il CHI, QUANDO E CON QUALE MODALITA’ sarebbe stato compiuto l’improprio. E ancora sottolinea l’assenza di un calendario con le date di semina a mais dei 53 terreni imputati, rileva che la presenza del Mesurol 500 FS Bayer sul campione di ape agli atti è decine di volte inferiore alla soglia tossica e non ne ha dunque causato la morte. E infine, dopo aver elencato molti altri utili dettagli atti a smontare i capi d’accusa, cita una nota del LAR (laboratorio apistico regionale) che sottolineava come, nella settimana di aprile 2018 in cui sarebbe avvenuta la moria di api in 28 alveari, condizioni metereologiche avverse avrebbero causato un “rallentamento nello sviluppo delle colonie, causando la morte di quelle più deboli”.
Libero, finalmente libero dalle accuse un non precisato numero di maiscoltori, con annullamento immediato dei provvedimenti di sequestro. Forse 53 soggetti, forse di più, perché nemmeno il numero esatto era riuscita a individuare con esattezza l’accusa. Imputazioni cadute a pioggia su un gruppo di agricoltori, maiscoltori, terzisti che avevano avuto la sfortuna di avere campi coltivati a mais dentro un raggio di 1,5 km rispetto alle 28 arnie (su 250 nello stesso terreno) colpite da spopolamento. Può l’agricoltura italiana salvarsi sotto il fuoco incrociato di privati, ambientalisti, politici, rappresentanti statali e quanti altri dimostrano di non fidarsi dei rigorosi controlli costantemente attuati sulle colture agricole italiane? Può la scienza essere messa in discussione a prescindere, senza ragionevoli controprove in nome di un agognata coltura biologica, che fa comunque uso di trattamenti per la difesa delle colture e non è in grado di soddisfare – se non in percentuali minime – la domanda agroalimentare del nostro paese?
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