Agricoltura frammentata e scorte scarse aumentano l’import per l’industria di trasformazione
Agricoltura frammentata e scorte scarse aumentano l’import per l’industria di trasformazione. Alla filiera cerealicola serve organizzazione e strategia.
Secondo le stime dell’International Grain Council (IGC), la produzione mondiale di cereali nel complesso è diminuita di 13 milioni di tonnellate nella campagna di commercializzazione 2018/19, scendendo a 2,89 miliardi di tonnellate, il livello più basso riscontrato negli ultimi tre anni. Questo comporterà un’inevitabile contrazione delle scorte globali di cereali. Una tendenza che si è registrata anche in Italia negli ultimi anni. Su questo si batte Compag, la Federazione Nazionale Commercianti di Prodotti per l’Agricoltura che, attraverso un impegno di intermediazione tra le realtà agricole italiane e l’industria, da anni è attiva per favorire il settore agricolo italiano attraverso azioni di sensibilizzazione, informazione, assistenza tecnica oltreché una fattiva presenza presso i tavoli ministeriali. Un settore, quello agricolo, fondamentale per l’economia dell’intero Paese, ma spesso lasciato a se stesso così da aggravare la sua già problematica frammentazione. Tra i successi recenti di Compag, la convocazione dei tavoli tecnici per trovare soluzioni per la filiera del grano e della pasta, con il conseguimento di uno stanziamento pari a 20 milioni di Euro per il biennio 2020/21 oltre al rinnovo dei contratti di filiera.
L’Italia produce circa 16 milioni di tonnellate di cereali, di cui 7-8 milioni di solo frumento (4-5 milioni di frumento duro e oltre 3 milioni di frumento tenero) e 6 milioni di mais, attraverso 633 mila aziende con una produttività media di 31,5 q/ha, con notevoli variazioni in base alla specie e alla zona (mentre al Nord la produttività media si attesta sui 78 q/ha, al Centro corrisponde a 44 q/ha e al Sud appena a 26 q/h). “All’estrema frammentazione” dichiara Fabio Manara – Presidente Compag “si aggiunge una bassa produttività, soprattutto al Sud, a causa dalla scarsa piovosità e del territorio prevalentemente montuoso, che rende la logistica piò costosa rispetto ad altri territori”.
Il mondo agricolo italiano, per la sua stessa struttura caratterizzata da un grande numero di piccole imprese, ha poca capacità contrattuale nei confronti dell’industria di trasformazione, che invece controlla grossi volumi ed è in grado di fare una politica di approvvigionamento valutando l’offerta interna ed estera. All’incapacità di soddisfare appieno le richieste dell’industria contribuisce il fatto che quest’ultima non produca solo per il mercato italiano, ma che sia soprattutto esportatrice. A ciò si aggiungono le limitate superfici coltivabili e la scarsa omogeneità delle partite, dovuta alla presenza, come detto, di una prevalenza di aziende di piccole dimensioni, quindi abituate ad agire autonomamente. Le importazioni italiane di granaglie sono, dunque, notevoli perché devono soddisfare una forte domanda: il Paese è il quinto produttore europeo di mangimi e un grande esportatore di prodotti cerealicoli trasformati per uso umano. Esso però deve fare i conti con una limitata capacità di produrre la materia prima di cui ha bisogno, a causa della ridotta superficie agricola utilizzata, della presenza di vaste aree a bassa produttività e per la diffusione di colture intensive che competono nell’utilizzo delle terre disponibili. Per questi motivi l’Italia è costretta a importare da Canada, Francia e Kazakistan circa il 40% (2 milioni di tonnellate) del proprio fabbisogno di grano duro, e il 60% del proprio fabbisogno di grano tenero da Francia, Germania, Austria, Russia, Canada e Serbia. Per quanto riguarda il mais, il livello di approvvigionamento dall’estero (principalmente dall’Ucraina) è anche più elevato in seguito alla riduzione delle superfici coltivate in Italia e all’ aumento del fabbisogno. L’auto-approvvigionamento negli ultimi anni è sceso dal 90% del 2001 all’attuale 55-60%.
Oltre alla sua forte presenza negli incontri ministeriali, Compag ha un altro punto di forza: la capacità di fare unione, la lungimiranza di capire quanto sia fondamentale associarsi. “Gli associati alla Compag, a livello nazionale, hanno una capacità di stoccaggio complessiva di 17 milioni di quintali, con una capacità media di 8 mila tonnellate” continua Manara, e chiarisce che “la capacità media più elevata corrisponde a quella della Lombardia (12 mila tonnellate), seguita da quella dell’Emilia Romagna (9.300 tonnellate), mentre quella più bassa si riscontra in Piemonte e in Abruzzo. I centri di stoccaggio aderenti a Compag rappresentano pertanto una realtà rilevante nel contesto nazionale”. Per questo motivo attualmente l’associazione è impegnata – assieme ai principali attori dei corrispondenti reparti cerealicoli – in due importanti progetti di filiera riguardanti il grano duro e il mais. Progetti con cui Compag si propone di fornire agli operatori maggiori possibilità di programmazione rispetto a un mercato internazionale caratterizzato da speculazioni e incertezze, oltre a garantire una più equa distribuzione del valore all’interno dell’intera filiera.
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