Agricoltura: cambiamenti climatici, studio sull’invasività delle mosche tropicali della frutta
Il clima della maggior parte del Mediterraneo, del resto del territorio Ue e dell’America centro-settentrionale non si presenta attualmente adatto all’insediamento delle mosche tropicali della frutta, anche se la loro distribuzione geografica potenziale varia in maniera significativa. È quanto emerge dalla ricerca internazionale[1] alla quale hanno partecipato istituzioni di quattro continenti, tra cui ENEA che ha studiato gli effetti del cambiamento climatico sull’invasività di questi insetti.
“A causa dei cambiamenti climatici l’idoneità climatica al loro insediamento aumenterà in maniera diversa a seconda della specie e le probabilità di una maggiore invasività sono incrementate anche a causa della globalizzazione. Si tratta di informazioni finora non disponibili e che costituivano, al più, semplici ipotesi”, spiega Luigi Ponti, coautore dello studio e ricercatore del Laboratorio ENEA di Sostenibilità, qualità e sicurezza delle produzioni agroalimentari.
Per la realizzazione della ricerca sono stati impiegati modelli[2] che per la prima volta hanno descritto e simulato in maniera dettagliata la biologia di ciascuna di quattro importanti specie tropicali di mosche della frutta appartenenti alla famiglia dei Tefritidi[3], consentendo così di prevedere come queste specie siano diverse tra loro in termini di distribuzione geografica e potenziale invasivo.
“Per la prima volta siamo riusciti a simulare fisiologia e dinamica di popolazione di questi quattro insetti in relazione alle condizioni meteorologiche e agli scenari di cambiamento climatico[4], con una risoluzione spaziale di 25-30 km e temporale giornaliera mai raggiunte prima”, aggiunge il ricercatore ENEA.
Tra gli insetti rilevati in America e nel territorio dell’Unione europea, le mosche della frutta sono considerate tra le specie invasive con il maggiore impatto economico in agricoltura. In California, ad esempio, il danno subito finora dal settore ortofrutticolo ammonta a circa 25 miliardi di dollari, senza contare i costi sostenuti per i programmi di quarantena o di eradicazione di questi insetti che in media si aggirano intorno ai 30 milioni di dollari ciascuno, ma che possono raggiungere anche i 100 milioni come è già accaduto in questo Stato tra il 1980 e il 1981. Ai costi elevati, si affianca sempre più spesso un’efficacia limitata di questi interventi perché vengono condotti senza una solida base scientifica che permetterebbe invece una migliore comprensione della minaccia reale e potenziale rappresentata da questi insetti.
“La capacità di prevedere l’evoluzione delle aree favorevoli allo sviluppo delle mosche tropicali della frutta in base a scenari di cambiamento climatico è fondamentale, tanto che alcune delle specie che abbiamo studiato sono già incluse nella lista, recentemente stilata dall’Autorità europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA), che comprende i 20 organismi da quarantena classificati al vertice delle priorità per gli Stati membri della Unione europea in base ai problemi economici, sociali e ambientali che possono causare[5]. Le specie oggetto dell’indagine rappresentano una gravissima minaccia per un settore strategico quale l’ortofrutticoltura mediterranea, in particolare per le colture frutticole perenni come le drupacee (ad esempio pesco e susino), le pomacee (ad esempio melo e pero) e gli agrumi, ma anche per le coltivazioni orticole annuali come ad esempio il melone, il cetriolo e il pomodoro”, spiega Ponti.
La biologia delle mosche tropicali della frutta è simile in apparenza, ma in realtà – come evidenziato dallo studio – varia abbastanza da determinare risposte differenti alle condizioni meteorologiche, oltre che agli ospiti. E sono proprio queste differenze a determinare il loro potenziale di distribuzione geografica e di abbondanza. La temperatura è la principale variabile guida, con l’umidità relativa che influisce anche sulla sopravvivenza e sulla riproduzione negli adulti. “Grazie ai modelli matematici che utilizziamo, siamo in grado di stimare proprio gli effetti di temperatura e umidità sui tassi di sviluppo e di mortalità in tutti gli stadi (uovo, larva, pupa e adulto) e sulla loro riproduzione, utilizzando lo stesso modello concettuale di base che facilita e rende più efficiente identificazione e raccolta dei dati biologici necessari alla valutazione del rischio da specie invasive”, sottolinea il ricercatore. Si tratta di una tecnologia resa disponibile grazie a una lunga collaborazione tra ENEA e il laboratorio del Prof. Andrew Paul Gutierrez dell’Università della California a Berkeley. Tecnologia che, proiettando la biologia stessa di questi insetti nel clima futuro, consente sia una maggiore affidabilità dei risultati rispetto alla correlazione statistica tra la presenza di una specie e il clima osservato in una certa località (il metodo più usato per stimare il rischio da specie invasive), sia la possibilità di valutare anche eventuali strategie di controllo ed eradicazione a livello territoriale.
Il bacino del Mediterraneo è una tra le regioni del nostro Pianeta più soggette a cambiamenti climatici e, di conseguenza, all’insediamento e alla diffusione di insetti esotici dannosi, a causa dell’aumento della temperatura che rende il clima mediterraneo più simile a quelli tropicali. Stimare distribuzione geografica e abbondanza delle specie invasive è fondamentale per approntare politiche utili alla loro gestione. Ecco, quindi, che la necessità di ottenere tali stime è aumentata sensibilmente in questi Paesi. Per quanto riguarda la mosca mediterranea della frutta e la mosca del melone lo studio internazionale prevede una maggiore diffusione in Egitto e nel Delta del Nilo, anche se, per quest’ultima specie, la maggior parte della regione euro-mediterranea potrebbe risultare sfavorevole per il previsto calo delle precipitazioni, fino al 40% in alcune aree del Mediterraneo, poiché i livelli di umidità influiscono sulla sua riproduzione. Oltre al Delta del Nilo, per la mosca orientale della frutta si prevede una maggiore diffusione anche nell’area sudoccidentale della Spagna e in Israele. La mosca messicana della frutta avrà, invece, una presenza potenziale più massiccia in Marocco, nelle coste del Nord Africa, nel sud Portogallo e della Spagna, ma anche in alcune aree della Sicilia e del sud Italia e a Creta.
In generale, nella regione euro-mediterranea, lo studio prevede una diffusione limitata delle mosche tropicali della frutta verso nord a causa del freddo e nell’Africa sahariana per via del clima caldo, della bassa umidità relativa e della mancanza di piante ospiti. “La maggior parte delle aree temperate su cui abbiamo condotto il nostro studio non sono attualmente idonee dal punto di vista climatico all’insediamento di questi insetti, ma si prevede che l’idoneità climatica aumenterà in alcune aree a causa dei cambiamenti climatici, incrementando l’insediamento anche a causa della globalizzazione. Per affrontare questa sfida, tuttora in corso, sono necessari investimenti per raccogliere dati biologici validi per sviluppare sempre di più modelli che valutino la distribuzione geografica e l’abbondanza di queste e di altre specie invasive e pericolose anche per salute dell’uomo, e fornire così una base scientifica solida alle politiche di controllo ed eradicazione”, conclude Luigi Ponti di ENEA.
Le specie invasive causano ogni anno, a livello mondiale, danni economici circa dieci volte superiori a quelli dovuti ai disastri naturali e il loro numero è destinato ad aumentare a causa della duplice azione di clima e globalizzazione; ne sono un esempio le numerose specie di insetti tropicali dannosi di recente insediamento nel bacino del Mediterraneo, come la tignola del pomodoro (Tuta absoluta), specie subtropicale di origine sudamericana che è arrivata in Spagna nel 2006 già resistente alla maggior parte degli insetticidi in commercio e che in pochi anni ha percorso circa 4 mila km, raggiungendo ogni angolo del bacino del Mediterraneo.
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