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Africa: nasce il 54esimo stato

Agosto 06
13:28 2011

Mi vengono in mente i racconti di un mio amico, funzionario Onu, che è stato a Bor per più di due anni, senza la famiglia perché la zona era ritenuta altamente a rischio e i caschi blu garantivano a mala pena la sicurezza per il proprio personale, figuriamoci per le famiglie! Ci volevano poche ore per raggiungere Khartoum in aereo e due giorni di viaggio disagevole, quando non era la stagione delle piogge ed era tutto allagato, per arrivare a Bor “lande paludose”, città nel Sudan Meridionale, capitale dello stato del Jonglei, situata al largo della riva orientale del fiume Nilo; 200 km dalla città di Juba, oggi capitale dello stato autonomo del Sudan Meridionale. La zona è famosa tra gli abitanti del luogo perché a Malek, cittadina a 19 km sud di Bor, nel dicembre 1905 fu stabilita la prima Chiesa Cristiana fondata dalla Church Missionary Society di Archibald Shaw. Malek divenne così la prima fortezza della Chiesa Anglicana nella regione dando origine ai primi vescovi consacrati nel Dinkaland. Sudan terra abitata da non so quante etnie diverse discendenti da egiziani (il Nord era l’antica Nubia), romani, arabi, turchi…, ognuna delle quali parla un dialetto proprio e professa proprie credenze religiose (ci sono islamici, cristiani, animisti, sufi…). Nel 1956 il Sudan ottiene l’indipendenza dal Regno Unito e cominciano subito i conflitti tra nord e sud. I conflitti interni, la guerra civile durata per più di 19 anni (vedendo contrapposte la parte settentrionale, araba e musulmana, e quella meridionale, cristiana e animista), le carestie più o meno permanenti e il colpo di stato del 1989 del generale Omar Hasan Ahmad al-Bashir hanno portato il Sudan ad essere una delle zone più martoriate del mondo (il conflitto del Darfur). L’Onu nel 2004 denuncia la “pulizia etnica” e definisce il Sudan come “la più grave situazione umanitaria esistente”. Nel marzo del 2009 la Corte Penale Internazionale emise un mandato di cattura nei confronti di al-Bashir per crimini di guerra e crimini contro l’umanità commessi nei confronti della popolazione civile in Darfur (ma non per genocidio!), incriminazione non riconosciuta dall’Unione Africana e Lega Araba e tanto meno dallo stesso al-Bashir che continua a governare indisturbato la parte Nord. A gennaio di quest’anno nel Sud si è tenuto un referendum per la secessione dal Nord e la creazione di uno stato indipendente. Stato proclamato ufficialmente il 9 luglio scorso. La nuova nazione è divisa amministrativamente in 10 Stati federali in un territorio di poco meno di 600.000 chilometri quadrati con una popolazione, ma il numero è discordante, di otto milioni di persone. Alti i tassi di disoccupazione per un paese che, come ha detto il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon, occuperà i gradini inferiori di tutti gli indici di sviluppo umano. L’economia dipenderà ancora fortemente dallo sfruttamento dei giacimenti di petrolio: prima della separazione, il Sudan era il terzo produttore di greggio dell’Africa sub-sahariana; il Sud Sudan dovrebbe controllare i tre quarti circa di questa ricchezza ma gli oleodotti esistenti attraversano tutti il nord. Potenze straniere come la Cina, già molto presente nella zona, però potrebbero “aiutare” a creare delle nuove “strade” del petrolio. La bandiera nazionale è divisa in tre strisce orizzontali (di colore nero, rosso e verde) con un triangolo blu su un lato sovrastato da una stella gialla. Sulle banconote della nuova sterlina sud-sudanese c’è il volto di John Garang, il guerrigliero eroe dell’indipendenza. La stabilità finanziaria del nuovo Stato potrebbe essere condizionata dal debito estero accumulato negli anni dal Sudan, equivalente a circa 28 miliardi di euro: sulla sua suddivisione sono in corso negoziati con Khartoum e i problemi con il nord non sono soltanto questi. Il Presidente della nuova Repubblica Salva Kiir Mayardit ha già firmato la legge che regola le attività della Banca centrale del Sud Sudan. Legge che ha dato un fondamento giuridico di controllo su tutte le banche commerciali che operano nella Repubblica del Sud Sudan e che contiene una serie di disposizioni collegate alle funzioni della Banca centrale nel monitoraggio della politica monetaria, sulla stabilità dei prezzi e sul tasso di cambio stabile. Il nuovo prefisso telefonico identificativo del paese sarà +211 e gli operatori telefonici avranno sei mesi di tempo per apportare le modifiche tecniche necessarie. Nonostante l’entusiasmo della popolazione e l’impegno ed il lavoro del nuovo governo i problemi sono tantissimi sopratutto nei rapporti con Khartoum. Primo tra tutti il problema della “cittadinanza”. Infatti molti “sud-sudanesi” vivono da anni nel nord e non è ancora chiaro se verrà data loro una sorta di doppia cittadinanza o verranno semplicemente rispediti a casa; inoltre non sono state stabilite le frontiere definitive e la “natura delle relazioni” tra i due stati. Il vero problema è il petrolio, tanto che il Sud Kordofan è uno dei tre territori contesi tra Nord e Sud. Gli altri sono la contea di Abyei (che per altro è parte del Sud Kordofan) e lo Stato del Blue Nile. In tutti e tre a gennaio scorso non si è tenuto il referendum che ha sancito l’indipendenza del sud. Il loro statuto avrebbe dovuto essere discusso tra le parti coinvolte, ma finora i colloqui si sono arenati. Le truppe di Khartoum intanto hanno invaso e conquistato Abyei e stanno mettendo a ferro e fuoco il Sud Kordofan. Per quel che riguarda il Blue Nile è stata varata una legge per spodestare il governatore, espressione della fazione nord dell’SPLA (Sudan People’s Liberation Army), il movimento che per anni ha combattuto per la secessione dal nord. Conclusione: il presidente Omar Al Bashir ha bombardato villaggi inermi, che sono stati completamente bruciati e rasi al suolo. In pochi giorni 70 mila persone hanno abbandonato i loro villaggi e vagano nell’area senza cibo e con a disposizione solo acqua putrida. Come riferisce Massimo A. Alberizzi il 20 luglio, inviato del Corriere della Sera, «le poche testimonianze che arrivano da quelle zone sono raccapriccianti. Unico dei pochissimi medici espatriati che lavora laggiù, l’americano Tom Catena, ha rilasciato dichiarazioni pesanti: “Non avevo mai visto persone conciate così. Subito dopo i bombardamenti arrivavano bambini senza mani e senza gambe. Le ferite erano orribili. Una ragazzina aveva il piede spappolato e un bimbo l’addome aperto e le viscere di fuori”». Khartoum nega, ma «secondo quanto riportato dal “Satellite Sentinel Project”, un organismo fondato da George Clooney per monitorare le violenze in Sudan, le fotografie scattate dai satelliti mostrano fosse comuni, dove sarebbero stati ammassati i cadaveri della gente ammazzata dalle bombe». Notizia confermata anche dalle Nazioni Unite. Quello che sta accadendo sui monti Nuba non può non ricordare il Darfur. Intanto l’entusiasmo tra i sud sudanesi, anche tra quelli che vivono in occidente o in altri paesi africani è grande; probabilmente alcuni di loro torneranno nei loro villaggi per aiutare la ricostruzione. Anche l’Università di Juba (capitale del nuovo stato) sta “traslocando” (le sue cinque facoltà erano state trasferite a Khartoum nel 1989 quando cominciò la guerra), e grande importanza viene data all’educazione in genere, poiché nel paese gli analfabeti sono la maggioranza. Quello che fa ben sperare è l’atteggiamento della popolazione che ha affermato attraverso uno strumento democratico, il referendum (con una partecipazione altissima degli aventi diritto) la propria voglia di cambiare le cose. Scelta a favore di diritti e valori da rispettare e promuovere. Intanto il Sud Sudan è diventato il 193esimo stato membro dell’Onu.

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