AFFRONTARE IL CORONAVIRUS. UN TRIPLO SALTO MORTALE
In questi giorni, con l’allentamento della morsa dell’epidemia del Coronavirus, in Italia si sta pensando alla ripartenza. Il governo ha messo in campo una squadra di esperti capitanata da Vittorio Colao con l’incarico di individuare interventi da effettuare nell’immediato ma, soprattutto, di disegnare le rotte per il futuro del paese. Saggia decisione. Se per la lotta contro il Coronavirus ci si è affidati all’esperienza di scienziati, medici, operatori sanitari, ora si ricorre a economisti, manager, statistici, tecnologi, sociologi, psicologi, banchieri. Abbiamo finalmente capito che il nostro destino non può essere più affidato alla pancia ma al cervello, e che dobbiamo superare rapidamente il paradigma che ci ha portato all’ubriacatura dell’ “uno vale uno”, al discredito degli esperti, allo smantellamento delle strutture culturali e sanitarie pubbliche. Ma questo benvenuto cambio di paradigma sarà sufficiente per assicurarci un radioso futuro? Per tentare di dare una risposta a questa domanda dobbiamo prendere atto della realtà sotto i nostri occhi. La struttura socio-economica italiana è molto fragile: bassa produttività delle imprese, aumento della povertà, pochi laureati, ritardi nel digitale, burocrazia inefficiente, divario Nord Sud, criminalità organizzata, ambiente e infrastrutture degradate, struttura sociale fragile – e si potrebbe continuare a lungo. A livello globale, e quindi ovviamente anche nel nostro paese, il modello di riferimento dominante è quello del liberismo che si basa sulla disuguaglianza e sul consumismo. Questo modello, che impropriamente viene chiamato modello di sviluppo, sta portando il pianeta verso una crisi ambientale e sociale. Il sistematico fallimento delle conferenze mondiali sul clima – ultima quella di Madrid del 2019 – mostrano che i singoli individui e coloro che li governano fanno orecchie da mercante rispetto a quello che la comunità scientifica dimostra da decenni, e che il messaggio di Greta Thunberg non entra nelle coscienze e nelle istituzioni.
Ora alcuni pensano che la parola d’ordine sia “ripartire a guerra finita”, parola d’ordine declinata come “riprendiamo a fare quello che facevamo prima”, ritorniamo ad aprire le fabbriche, i negozi, gli alberghi, come dopo un risveglio da un brutto sogno per poi riprendere la vita di prima. Ma ciò non sarà possibile. La guerra del Coronavirus lascerà sul campo morti (non soltanto in senso metaforico) e feriti (disoccupati, nuovi poveri, tensioni sociali che si spera non sfocino in problemi di ordine pubblico). Il vecchio modello non funziona più, ci sarà bisogno di costruirne uno tutto nuovo. La sfida sarà dunque quella di mettere in campo le energie migliori – e questo lo abbiamo fatto con gli esperti di sanità.
Ma ciò non basta. Sarà necessario che gli individui sappiano reinventarsi, rivedere i propri modi di vivere, i valori, siano capaci di definire con occhi nuovi i veri bisogni riscoprendo la solidarietà e facendo ricorso al coraggio ed all’innovatività che caratterizza il popolo italiano. Soltanto la saldatura tra una leadership adeguata, e un popolo che saprà far tesoro dell’amara esperienza vissuta, consentirà di uscire da questa crisi epocale, come dopo la Seconda guerra mondiale. Dunque un triplo salto mortale: fare tesoro delle lezioni imparate durante la crisi (per esempio il lavoro da casa) e puntare sulle competenze; affrontare con solidarietà la diminuzione della ricchezza (si prevede una significativa riduzione del Pil); rivedere a fondo i nostri stili di vita in un nuovo e sostenibile rapporto tra uomo e natura. E le parole di papa Francesco saranno un’utile fonte di ispirazione.
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