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Trentadue concessioni esistenti per il prelievo di acque minerali nel Lazio, con un canone differenziato per ciascun ettaro di concessione, in proporzione alla quantità e all’utilizzo dell’acqua prelevata, che penalizza di più quanto maggiore è il prelievo. 60 euro all’ettaro, fino ad un massimo di 25 milioni di litri all’anno di acqua prelevata, 120 euro all’ettaro se si supera tale quantità, a cui si aggiunge in questo caso un canone annuo minimo di 5mila euro; in aggiunta, 2 euro per ogni metro cubo di acqua imbottigliata, oltre a 1 euro al mc per il volume emunto ma non imbottigliato. Questo il sistema in vigore nel Lazio, sicuramente uno dei più equi, all’interno della lotteria dei canoni di concessione per le acque minerali, in cui a vincere però sono sempre gli imbottigliatori, come emerso oggi in occasione della presentazione del dossier sulle Acque Minerali da parte di Legambiente e Altreconomia, in vista della giornata mondiale dell’Acqua del 22 marzo.
Ulteriore elemento positivo, il sistema di premialità in vigore nel Lazio per chi imbottiglia in vetro anziché in plastica, per cui gli importi del diritto minimo annuo sono ridotti del 50% per l’acqua commercializzata in vetro e del 70% per l’acqua commercializzata in vetro con vuoto a rendere e per il quale sia attivata la rete di raccolta.
“Nel Lazio abbiamo in vigore uno dei sistemi più equi per quanto riguarda i canoni di concessione delle acque minerali, in cui si paga un doppio canone, un sistema da tenere sotto controllo aggiornando costantemente gli importi da corrispondere – ha dichiarato Lorenzo Parlati, presidente di Legambiente Lazio-. L’acqua è una risorsa di enorme importanza che va preservata con grande attenzione, anche commisurando ancora di più all’impatto che causano le attività di imbottigliamento, trasporto dell’acqua minerale e smaltimento della plastica successiva al consumo, prevedendo anche una forma di compensazione ambientale, vincolando parte degli introiti ricavati dai canoni stessi.”
I canoni di concessione incassati dalle Regioni risultano comunque insufficienti a coprire le spese e rimangono comunque irrisori a fronte del giro d’affari delle società imbottigliatrici, tanto più che il costo dell’acqua all’origine incide in maniera insignificante sul costo alla vendita. Eppure gli italiani sono in Europa i primi consumatori di acqua minerale con 196 litri procapite all’anno, quindi coloro che si fidano meno dell’acqua di rubinetto. Ma questa scarsa fiducia dipende solo da un’errata percezione, visto che in realtà essa subisce controlli costanti, spesso deve rispondere a requisiti di qualità molto più severi rispetto all’acqua imbottigliata, arriva dentro casa molto più comodamente e a costi di gran lunga inferiori all’acqua che compriamo al supermercato e soprattutto non inquina.
Per quanto riguarda ad esempio la presenza di nitrati nelle acque delle città capoluoghi laziali, si mantengono su valori bassi rispetto ai 50 mg/l previsti dalla legge italiana: si va dal più basso di Rieti, con 0,9 mg/l, continuando con i 2,3 mg/l di Latina, i 3,8 mg/l di Roma, i 5,6 mg/l di Frosinone, fino ad arrivare al più alto di Viterbo, con 10,2 mg/l (dati tratti da Ecosistema Urbano 2009). Non tutti sanno inoltre che anche le acque di rubinetto hanno le loro etichette, come ad esempio la carta d’identità dell’acqua di Roma, che ogni anno esegue circa 250mila analisi, che attestano la sua qualità.

“La vera soluzione all’impattante sistema del consumo di acque minerali sta nella promozione dell’uso dell’acqua di rubinetto -ha dichiarato Cristiana Avenali, direttrice di Legambiente Lazio-. Questi sono i motivi per cui Legambiente ormai da un anno porta avanti la “battaglia di civiltà” per promuovere in tutta Italia, sia in casa che nei pubblici esercizi, l’acqua del Sindaco, con la campagna Imbrocchiamola (www.imbrocchiamola.org).”

Roma, 17 marzo 2009

Ufficio Stampa
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