Accusata d’infanticidio, viene decapitata a 24 anni
Arabia Saudita. È morta Rizana Nafeek, la cameriera ventiquattrenne condannata alla pena capitale, perché accusata d’infanticidio.
L’esecuzione è avvenuta nella città di Damani, alle 7 del mattino (ora italiana), del 9 gennaio 2013, dopo il “via” dato dall’Ufficio del Ministero degli Affari Arabi Saudita di Riyadh. La storia di Rizana somiglia alle tante di povertà e di sfruttamento che appartengono alle molte, troppe, donne provenienti dalle aree geografiche più depresse del pianeta ma, in questo caso, le vicende dolorose e la vita durissima di chi abbandona la terra d’origine alla ricerca di una vita migliore, insieme al più tragico ed irreversibile degli epiloghi, incontrano anche lo sgomento delle comunità internazionali e l’amarezza di tutte le associazioni per la difesa dei Diritti Umani che nel frattempo – per oltre 6 anni – si erano battute per salvare la vita di questa migrante cingalese, giunta come clandestina in Arabia Saudita e poi assunta come domestica e baby sitter presso una ricca famiglia del luogo. È il 2005 quando, a soli 17 anni, Rizana riesce ad entrare in Arabia Saudita con un passaporto falso e a trovare un lavoro irregolare. Nello Sri Lanka lascia la madre, la sorella e la baracca dove con loro abitava. Per lei, finalmente, sembra aprirsi un nuovo capitolo della vita, ma poi accade l’evento tragico che la condanna a morte: il bimbo di 4 mesi che accudiva muore per soffocamento mentre lei lo allatta col biberon. Ciò che ai nostri occhi potrebbe anche sembrare un incidente, segna per sempre il destino della balia. È il 2007, e la giovane, incolpata, viene arrestata. Ma non basta: i suoi diritti sono calpestati perché a Rizana non viene concessa la possibilità di difendersi in un regolare processo. Da tale presupposto, partono le iniziative di Amnesty International e altre associazioni umanitarie che si appellano affinché Rizana Nafeek possa subire un processo regolare. La Comunità di Sant’Egidio organizza una raccolta firme destinate al re ʿAbd Allāh e accompagnate dalla “supplica” di sospendere la sentenza di morte. A motivare il gesto – come già ricordato – era stata la denuncia (rivolta alla magistratura saudita e agli accusatori) d’aver falsificato il processo, estorcendo con la forza una confessione firmata all’accusata. Lo scorso 5 gennaio, diffusasi la notizia dell’esecuzione, il presidente saudita Rajapaksa aveva chiesto, invano, al sovrano di ritardare il provvedimento in attesa di raggiungere un accordo tra i genitori del bambino e una delegazione inviata dal governo dello Sri Lanka. Quello stesso giorno, il Parlamento dello Sri Lanka ha osservato un minuto di silenzio in segno di lutto. A circa un mese dall’esecuzione di Rizana Nafeek, nessuno sa ancora come andarono i fatti di quel tragico giorno di 7 anni fa. Nessuno può più attribuire a Rizana Nafeek una volontà omicida e sarebbe inutile, ormai, perfino provare a scagionarla dalle accuse, se non per salvare almeno la sua dignità, non potendole più salvarle la vita. Padre George Sigamoney, direttore della Caritas cingalese, si è stretto alla famiglia Nafeek, dichiarando (al giornale AsiaNews) che crede che «sia giunto il momento che il governo e le autorità affrontino in modo serio la questione dei lavoratori migranti che cercano impiego in Medio Oriente.» L’ Asian Human Rights Commission (Ahrc) ha invece ribadito: «non c’è dubbio che l’accusa di omicidio contro Rizana è sbagliata. Le leggi in Arabia saudita sono molto al di sotto di ogni norma di legalità e procedura investigativa universalmente accettate. Nel suo processo, non è stata rispettata alcuna garanzia di trasparenza.» Tuttavia, secondo l’organizzazione «né il governo, né l’ufficio del presidente hanno fatto qualcosa per salvare la vita di Rizana, nonostante gli innumerevoli appelli della famiglia e della società civile.» Di sicuro, la controversa vicenda di Rizana Nafeek getta nuove ombre sul sistema giudiziario saudita e riporta all’attenzione del mondo intero la questione del rispetto dei diritti delle donne e della pena di morte.
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