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Accademia Castrimeniense MOSTRA DEL DECENNALE (2008 – 2018)

Accademia Castrimeniense MOSTRA DEL DECENNALE (2008 – 2018)
Maggio 25
06:32 2018

Era la primavera del 2008, esattamente il 21 aprile, natale di Roma, quando venne fondata l’Accademia Castrimeniense, che prendeva il suo nome da Castrimoenium, l’antico oppidum su cui nel Medioevo è sorta la nostra città. A costituirla fu un manipolo di artisti dei Castelli Romani (Marino in particolare) che si prefiggevano di promuovere le attività creative, con particolare riguardo alla pittura, alla scultura, alla fotografia e alle attività visive in genere, ma anche alla letteratura, al teatro e un po’ a tutto il resto delle muse.
Non era soltanto un interesse di parte a spingere quegli operatori, dal momento che loro si dedicavano, come da sempre gli artisti si dedicano, a quelle attività. C’era molto di più. C’era la convinzione che, nello smarrimento attuale, che poi è lo smarrimento del razionalismo tipico della cultura occidentale, fare ricorso alle capacità di rinnovamento e rigenerazione proprie dell’arte, alla cosiddetta mitopoiesi, può essere una carta vincente, o comunque una carta da giocare e tenere in grande considerazione. La sfida era, come lo è tuttora, quella di tornare alla creatività, di fornire stimoli alla mitopoiesi appunto, che è poi la capacità di credere in se stessi e di pensare in originale, anziché in fotocopia come ci stiamo abituando a fare in una società che ci vuole tutti omologati, tutti fatti con lo stampo.
Sono passati dieci anni dalla fondazione dell’Accademia, ed oggi, primavera 2018, finalmente l’Accademia può usufruire di una sede prestigiosa. L’Amministrazione comunale di Marino ha deciso che il Museo Civico Mastroianni sia la sede di questo manipolo di artisti tra i più rappresentativi del nostro territorio, e quando una comunità decide di dare ascolto ai propri artisti, quando si raccoglie intorno ai propri spiriti creativi, è buon segno, perché significa che cerca i propri miti, i propri archetipi, le proprie radici, la propria identità, le proprie origini, e quindi i propri vincoli comunitari.
Non è un caso che si scelse come logo, come simbolo rappresentativo dell’Associazione, la doppia testa di Giano, che è la divinità più arcaica e significativa dei latini, come di tutti i popoli italici, anteriore alla stessa nascita di Giove. Fu pubblicato un interessante studio di Vito Lolli, in occasione dell’inaugurazione della nostra associazione, che consiglio vivamente a tutti di rileggere per mantenere vivo il fermento iniziale. Giano è la divinità dei passaggi, dei cicli cosmici, quella visione del mondo che si fa garante del fatto che nulla finisce realmente, in quanto, finito un ciclo, se ne apre un altro.
La fine e l’inizio si danno la mano, e non c’è bisogno di sottolineare quanto questa conoscenza possa giovare in un momento epocale come questo, in cui la nostra civiltà è in declino. Ebbene, tutto ciò era già nella Weltanschauung, nella visione propria dei nostri progenitori arcaici, e riproporla oggi è sintomatico. Una considerazione voglio aggiungere, che ritengo fondamentale. Quando si parla di ritorno alle origini, bisogna fare attenzione, perché le origini, in realtà, non stanno indietro nel tempo. No, le origini stanno qui, non ci hanno abbandonato mai.
Noi viviamo sempre nelle origini. Il big bang è perenne, per cui non si tratta di tornare alle origini, ma si tratta di scoprire che le origini sono qui. Il big bang è in corso d’opera. Ogni fiore che nasce è un nuovo big bang, per non parlare di ogni bimbo che nasce. La creazione è perenne, e questo ogni spirito creativo lo sa. Ovviamente, non soltanto l’artista è creativo e si può essere creativi – o non esserlo – nello svolgimento di qualsiasi attività, ma certamente in quest’ambito le arti hanno sempre fatto da traino, e tutto questo torna estremamente utile per l’intera comunità.
All’appuntamento odierno, i soci dell’Accademia si presentano con mezzi, tecniche e materiali diversissimi. Gli indirizzi poetici sono altrettanto variegati e rispecchiano i fondamentali gusti espressivi della nostra età, pur nell’indiscutibile valore delle singolarità. So bene che facendo discorsi necessariamente riassuntivi e schematici, come quello che mi accingo a fare, il rischio che si corre è quello di un’ingiusta massificazione che sta agli antipodi della creatività, dell’originalità. Cercherò di non cadere nella trappola, ma dovete tener conto che questa è una collettiva, non una personale, e in una collettiva si finisce inevitabilmente per confluire in una polifonia.
Possiamo tracciare due linee di ricerca fondamentali, evitando di evidenziare i sottogruppi, che pure ci sono. Le due tendenze sono quelle che già si conoscono e che la fanno da padrone nella storia dell’arte contemporanea: da un lato le poetiche della visione, a partire dal Simbolismo e dal Verismo, per giungere al ready made e alla pop art; dall’altro le poetiche dell’azione, a partire dall’Impressionismo e dall’Espressionismo, per giungere all’Informale e al Minimalismo geometrizzante. Non mancano – ripeto – stimolazioni inedite e degne di nota che sicuramente porteranno, se sviluppate nel tempo – ma che in alcuni casi già costituiscono – interessanti novità.
Mi sembra comunque di poter dire, concludendo – nella speranza di contenere i rischi di un eccessivo schematismo – che alle poetiche del primo gruppo, quelle della visione debbano annoverarsi le ricerche di Fausta Caldarella, Deborah Cetroni, Fiorello Doglia, Mara Lautizi, Vito Lolli, Carla Nico, Doriana Onorati, Beatrice Palazzetti, Stefano Piali, Riccardo Savi, Renato Testa; mentre alle poetiche del secondo gruppo (e chiedo di nuovo scusa per il termine, che non si addice alle opere della genialità), alle poetiche del secondo gruppo, dicevo, quelle dell’azione, appartengano artisti come Fabio Massimo Caruso, Marina Funghi, Vittorio Maccari, Luigi Marazzi, Gianfranco Papa, Giglio Petriacci, Fiorella Saura e Francesco Spirito.

 

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