Abraham Lincoln: lotta contro la schiavitù ed una reale democrazia?
Il 14 aprile 1865 venne assassinato Abraham Lincoln, presidente degli Stati Uniti d’America. L’assassino era un attore fallito di nome John Wilkes Booth credendo in una improbabile vittoria della Confederazione non si rese conto di trasformare Lincoln in un mito. Cinque giorni prima il generale confederato Lee si era arreso alle truppe dell’Unione comandate dal generale Grant ad Appomatox. Uccidendo Lincoln, Booth non si rese conto che avrebbe glorificato la vittima mentre le rogne seguite al dopoguerra se le presero i suoi successori. Abraham Lincoln nasce a Hodgensville nel Kentucky nel 1809 da una famiglia di coloni quaccheri. All’età di 23 anni col grado di capitano dell’esercito combatte contro gli indiani guidati dal capo Falco Nero. La ribellione nasceva dal “Removal Act” del 1830 promulgato dal presidente Andrew Jackson che nella guerra tra Stati Uniti e Inghilterra (1812 – 1815) sterminò novecento indiani Creek a Horseshoe Bend (Alabama) che si erano alleati con gli inglesi. La battaglia fu impari visto che da parte americana si contarono solo 26 caduti. Nel 1818 condusse l’occupazione della Florida che era un possedimento spagnolo riuscendo nell’arco di sessanta giorni a spazzar via sia gli indiani che gli spagnoli. Nel 1828 Jackson divenne presidente, promulgando il “Removal Act” ordinò la deportazione delle tribù indiane dei Creek, i Choctaw, i Chicasaw, i Cherokee e i Seminole dalla Florida all’Oklahoma. Falco Nero organizzò una coalizione tra le tribù contro la deportazione che aveva lo scopo di sloggiare gli indiani per occupare le loro terre. Lincoln eseguì quindi una politica di sterminio del popolo rosso, politica che contraddistinse tutti i governi americani del secolo XIX (tranne durante la presidenza di Grant). Noi europei portiamo ancora i segni di quelle teorie razziste che dominarono l’Europa nella prima metà del secolo. Razzismo e schiavismo non sono la stessa cosa e il razzista non è sempre uno schiavista. Lincoln incarnò il razzista che nello stesso tempo combatte la schiavitù ma solo perché era una istituzione destinata a scomparire. Uno dei grossi problemi in America, durato fino alla seconda metà del 900, fu l’integrazione degli uomini di colore seguita all’abolizione della schiavitù. Sembra assurdo ma il razzismo era presente anche tra gli “abolizionisti”, rafforzato dal mito americano del “self made man” presente soprattutto nel Nord, un mito violento e razzista che esalta le capacità di determinati uomini e gruppi rendendo altri uomini e altri gruppi indegni di esistere. Nel 1834 Lincoln entra in politica, nel 1849 presentò una proposta di legge contro l’introduzione della schiavitù nei territori occupati dopo la guerra contro il Messico. Nel 1854 viene rieletto nelle file del nuovo Partito Repubblicano e il 4 marzo 1861 viene eletto presidente degli Stati Uniti. In questi anni Lincoln si pose verso la schiavitù in modo pragmatico. Lincoln sapeva che abolire la schiavitù da subito avrebbe influito negativamente sull’economia del Sud prevalentemente agricola la cui manodopera era composta solo da schiavi negri. Lincoln era realista e come tutti gli americani bianchi e protestanti era anche razzista. Nella campagna elettorale del 1848 dichiarò che non era mai stato favorevole a promuovere in alcun modo l’uguaglianza sociale e politica tra la razza bianca e quella nera; che non era mai stato favorevole a concedere il voto ai negri o a fare loro dei giurati, né ad abilitarli a coprire cariche pubbliche, o a permetter loro matrimoni coi bianchi. Per Lincoln una troppo spiccata differenza tra la razza bianca e quella negra avrebbe impedito per sempre alle due razze di vivere insieme in termini di uguaglianza sociale e politica e finché la convivenza sarebbe stata necessaria, doveva essere un rapporto da superiore ad inferiore, essendo a favore del ruolo dominante della razza bianca. Il programma di Lincoln era la creazione di “due Americhe” separate territorialmente in cui sarebbero stati relegati i negri liberati. Fu istituita una “Commissione per l’Emigrazione” e venne stanziato mezzo milione di dollari. In realtà le Americhe erano tre, l’America bianca, quella negra e quella dei pellerossa. Il I° aprile 1862 venne promulgato l’Homestead Act in cui si sanciva che i maggiori di venti anni che non avessero preso le armi contro l’Unione avrebbero potuto ottenere un pezzo di terra nell’Ovest pagando 1.25 dollari per acro. Questo provvedimento assieme alla costruzione delle ferrovie diede il via all’espansione a Ovest e l’unica colpa dell’indiano fu quella di esistere. Le mandrie di bufali vennero sterminate o disperse togliendo agli indiani l’unica fonte di sostentamento. Lincoln era convinto che democrazia e disuguaglianza potevano convivere. E’ vero che gli Stati Uniti a quei tempi erano l’unica democrazia del pianeta assieme all’Inghilterra, se pensiamo che la maggior parte dell’Europa era governata da monarchie assolute, ma è anche vero che questa democrazia era nata da una guerra e si era sviluppata attraverso altre guerre (con gli indiani e con il Messico) e sui paradossi. È paradossale che venga vietata la tratta degli schiavi (1808) dall’Africa ma si permetta poi la compravendita di schiavi lasciando che sia di competenza dei singoli Stati. In questo contesto, Lincoln si trovò ad affrontare la crisi della secessione degli Stati del Sud, provocata da decenni di politica economica conflittuale tra Nord e Sud. Il Nord perseguiva una politica protezionistica che danneggiava le esportazioni cotoniere degli Stati del Sud e sul tipo di economia da adottare nei nuovi territori dell’Ovest. Il divieto di schiavitù nei territori dell’Ovest favoriva lo sviluppo industriale del Nord bloccando l’espansione del Sud e diminuendo il peso politico del Sud al Congresso. Il I° gennaio 1863 Lincoln varò un proclama di emancipazione degli schiavi ma il provvedimento riguardava gli schiavi che si trovavano negli Stati che facevano parte della “Confederazione degli Stati del Sud”. In realtà la schiavitù sarebbe stata abolita definitivamente solo nel dopoguerra e dopo la morte di Lincoln con il “Tredicesimo emendamento” (1865). Al momento della promulgazione del proclama vi erano due fattori di rischio, il primo era la superiorità dei sudisti in competenze militari visto che la maggior parte degli ufficiali dell’esercito degli Stati Uniti proveniva dall’aristocrazia del Sud, allora per compensare la mancanza di ufficiali l’esercito nordista cercò delle motivazioni per arruolare volontari e quindi si inventarono la “guerra per i diritti di uguaglianza”; il secondo fattore di rischio era l’avvicinamento di Francia e Inghilterra alla Confederazione degli Stati Uniti del Sud con la probabilità che la riconoscessero come Stato sovrano e il pericolo di un intervento militare in appoggio di questi ultimi. L’obbiettivo essenziale di Lincoln in questa battaglia era di salvare l’Unione. E se avesse potuto salvare l’Unione liberando tutti gli schaivi, lo avrebbe fatto. Naturalmente questi nella storia restano solo discorsi di campagna elettorale molto lontani dalla dura realtà in cui uomini di colore e indiani si trovarono nella metà dell’Ottocento. Infatti, terminata la guerra di Secessione, riprese la politica di sterminio nei confronti degli indiani che vedrà il suo zenit con il massacro di Wounded Knee (1890) mentre ai negri venne offerta una libertà solo sulla carta,in quanto occorreranno anni di lotte, di diritti negati, morti e sofferenze prima che in America si potesse parlare di uguaglianza ed integrazione.
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