A Roma Douglas vuole chiudere 10 negozi, una storia che puzza
PRC-Se\ A Roma Douglas vuole chiudere 10 negozi, una storia che puzza
Ai primi di febbraio, la catena di Profumerie Douglas, ha annunciato di voler chiudere alcune decine di negozi[1]. In seguito la multinazionale ha comunicato ai sindacati che i centri vendita coinvolti in tutta Italia erano 128; una decina nella Capitale[2]. Nel silenzio della politica, circa cinquecento lavoratori, in gran parte donne perderanno il loro lavoro.
Le motivazioni dell’azienda su questa scelta sono inappuntabili, si parla di perdite di fatturato e redditività dovuti all’emergenza pandemica ed ai provvedimenti attuati per limitare la diffusione del SARS-CoV-2 e la necessità di salvaguardare il gruppo evitando il fallimento[3]. Non è la prima volta che l’azienda ritiene di dover chiudere negozi, già all’inizio del 2019 la Douglas Italia aveva comunicato la chiusura di negozi, a causa di affitti troppo cari o e perché non redditizi. In realtà già in quell’occasione la Holding Douglas pensò bene, dopo aver acquisito una posizione semimonopolistica,[4] con l’acquisizione di Limoni e La Gardenia e aver eliminato ogni possibile concorrente, di liberarsi dei “doppioni.” Un gioco che non teneva in alcun conto le sofferenze delle lavoratrici e dei lavoratori , ma si concentrava sui profitti. In quell’occasione i sindacati cercarono di arginare i danni sottoscrivendo un contratto di solidarietà, che pur a fronte della riduzione delle retribuzioni dei dipendenti evitava i licenziamenti. Fino a che, con l’ultimo rinnovo contrattuale, il problema di eccedenza del personale era stato dichiarato superato, ma è qui che entra in gioco la pandemia, con la crisi che ha prodotto sul commercio e quelle che sembrano le scelte odierne della multinazionale Douglas.
Sembrano, perché se andiamo a vedere alcuni dati commerciali[5] scopriamo che L’azienda Douglas Italia S.p.a. dal 2017 al 2019 ha quasi triplicato il valore della produzione, ha aumentando il fatturato del 217% e è passato da una pesante perdita a milioni di utili. Ora questa multinazionale, che stava volando in modo esponenziale sulle ali del fatturato, scopre che non può sostenere la battuta di arresto delle vendite in presenza indotta dalla pandemia. Una battuta di arresto che tuttavia, come ben sappiamo, non è ricaduta tutta sulle spalle dell’azienda. Che sino ad oggi ha ottenuto i suoi risultati economici, in Italia, anche attraverso i contributi, gli aiuti economici dello Stato, i sacrifici economici delle lavoratrici e dei lavoratori e, ultimi, ma non per importanza tutti gli strumenti di intervento straordinari, per affrontare la crisi dovuta al Covid19, predisposti dal Governo italiano, tra cui i ristori e la cassa integrazione straordinaria.
Insomma a guardare bene, tutta questa vicenda che solo a Roma mette a rischio circa 50 lavoratrici\lavoratori viene messa in campo poiché i padroni della multinazionale hanno scoperto, già prima della pandemia, oggi utilizzanta come arma ideologica, che il commercio può essere fatto riducendo al minimo i siti di vendita, limitandoli al minimo necessario per garantirsi una “vetrina” da cui propagare un’immagine di status simbol, e investendo sull’E-commerce. Niente affitti, pochi dipendenti, tanti profitti, una manna. Mentre a Ornella Crisnich, 56 anni, una vita spesa nel professionalizzarsi nella vendita dei profumi, non resta che raccontare di essere stata buttata via così, senza una spiegazione.[6] Alle tante Ornelle, commesse alla Douglas i sindacati cercano di dare una prospettiva, hanno proclamato lo stato di agitazione, invocano un tavolo istituzionale, diffidano l’azienda dal mettere in atto azioni di trasferimenti con cui nascondere i licenziamenti, “auspicano un confronto con l’azienda che possa avviare un processo di riorganizzazione mantenendo i livelli occupazionali” e respingono ogni ipotesi “per cui l’incertezza dovuta alla crisi epidemiologica venga scaricata sulle lavoratrici.“[7]
Insomma i sindacati fanno il loro lavoro, ma questo oggi non basta più. Rifondazione Comunista chiede che il Governo, metta in moto quel ministro della Lega incaricato dello Sviluppo economico, impedendo che l’azienda continui a procedere con chiusure unilaterali, chieda conto delle risorse economiche che Douglas ha già percepito e imponga il rispetto dell’ art. 41 della Costituzione attivando programmi affinchè l’attività economica privata sia indirizzata a fini sociali. Sulla vicenda attendiamo inoltre di sapere che cosa intendano fare il M5S, dal Campidoglio, e Zingaretti dalla Regione che sino ad oggi, su questi fatti, si sono limitati a fare i pesci in barile.
La piena affermazione della globalizzazione, che doveva portare il bengodi a tutti, si è rivelata, per i lavoratori, solo una perdita di diritti, di posti di lavoro, di reddito, di futuro. Ma tutto ciò non è più sufficiente ai padroni ed ai loro azionisti, che vogliono continuare a godere degli alti profitti anche nella crisi economica e nella deglobalizzazione che sta ingenerando. Così le commesse, lavoratrici che quando va bene percepiscono poco di più di 1200euro di stipendio, vengono indicate alla pubblica opinione come povere donne sfortunate colpite della mano invisibile del mercato; una povera azienda che nel 2015 era valutata circa 2,8 miliardi di euro non può sostenerle.
Noi sappiamo i nomi di chi muove le mani invisibili del mercato. In questo caso la famiglia Kreke, proprietaria, e gli azionisti della multinazionale Douglas, quelli cioè che per il bene supremo dell’azienda e del Moloch profitto non esitano a distruggere le speranze di vita di chi lavora.
I padroni ed i loro azionisti sanno come condurre una guerra di classe e la stanno vincendo con l’aiuto dell’opinione pubblica. Ma la pubblica opinione siamo noi: commesse\i, operaie\i, addette alle pulizie, operatori sociali, ecologici, dell’informazione, impiegati\e, a tempo indeterminato, precari, interinali, o cittadini, fruitori, utenti, consumatori, clienti, siamo sempre gli stessi: un’unica classe lavoratrice.
Padroni e azionisti della multinazionale Douglas pensano di far prosperare i loro profitti con l’E-Commerce. Dimostriamo che i lavoratori e le lavoratrici non sono d’accordo con le loro scelte, asteniamoci dagli acquisti dei loro prodotti dal web. Esprimiamo la nostra solidarietà alle commesse dei negozi Douglas di Roma colpendo padroni e azionisti nei loro affetti più cari: Il portafoglio.
Roma 25\2\21
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