A Philip Roth il Man Booker International Prize 2011
È stato conferito allo scrittore americano Philip Roth il Man Booker International Prize 2011, uno dei maggiori riconoscimenti letterari internazionali. Il premio, giunto alla sua quarta edizione, consiste di 60.000 sterline e viene assegnato ogni due anni sulla base dell’opera dei candidati nel suo complesso e non, come il Man Booker Prize, alla migliore opera di narrativa dell’anno. A quest’ultimo, ben più prestigioso, vi possono partecipare solo opere di narrativa pubblicate nel Regno Unito durante l’anno e scritte in inglese da cittadini di nazioni appartenenti al Commonwealth, all’Irlanda e allo Zimbabwe: quindi, non gli americani, per i quali il premio di narrativa più prestigioso è il Pulitzer, cui solo loro posson partecipare.
Roth è uno dei più grandi scrittori americani degli ultimi cinquant’anni. Divenuto celebre col romanzo Lamento di Portnoy (1969), egli ha rafforzato la sua fama con romanzi di grande successo di pubblico e critica. Ha ricevuto i maggiori riconoscimenti che possa conseguire un romanziere americano, dal Premio Pulitzer per la narrativa (per Pastorale americana), di cui è stato finalista altre tre volte, al National Book Award (vinto due volte con Addio, Columbus e con Il teatro di Sabbath, e di cui è stato finalista altre quattro volte), al PEN/Faulkner Award, che ha vinto tre volte con Operazione Shylock, La macchia umana e Everyman.
Finalisti con Roth al Booker International Prize di quest’anno erano le americane Marilynne Robinson e Anne Tyler, l’australiano David Malouf, i britannici James Kelman, John le Carré e Philip Pullman, il canadese Rohinton Mistry, i cinesi Wang Anyi e Su Tong, l’italiana Dacia Maraini, il libanese Amin Maalouf e lo spagnolo Juan Goytisolo.
Il conferimento a Roth è stato accompagnato da oziose polemiche suscitate dall’editrice e scrittrice Carmen Callil, la quale ha abbandonato la giuria lamentandosi della ripetitività tematica e verbosa di Roth, con dichiarazioni sostanzialmente banali. Non è sfuggito a molti che Callil è l’editrice dell’ex moglie di Roth, l’attrice Claire Bloom, e le ha pubblicato un libro di memorie sul matrimonio dei Roth, Leaving a Doll’s House (Lasciare casa di bambola), in cui la vita privata del grande scrittore è tratteggiata in modo tutt’altro che edificante.
Quest’ultima polemica non è nulla rispetto ai pesanti attacchi personali che Philip Roth ha subito nella sua lunga carriera: da ebreo ha criticato gli ebrei americani, ha usato situazioni esilaranti, dissacranti e toccanti nel sottoporre ad una pungente critica la società americana e i suoi valori, dalla libertà d’espressione al Sogno Americano, dal consumismo alla guerra, dal periodo maccartista a quelli kennediano e clintoniano, mettendone a nudo in forma narrativa le loro contraddizioni, con una scioltezza di penna che ha pochi pari nella letteratura di lingua inglese dell’ultimo mezzo secolo. Anche tenendo conto della mediocre riuscita d’alcuni suoi romanzi rispetto agli straordinari capolavori che ha scritto, di questo lo si ringrazia.
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