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‘A CRASTICA, MODERNO CERCHIAROLO DI ROCCA DI PAPA

‘A CRASTICA, MODERNO CERCHIAROLO DI ROCCA DI PAPA
Maggio 28
14:56 2020

Un bel pomeriggio di maggio, il sole che pare squadrare luci e ombre in angoli di diverse prospettive, proprio come un’opera d’inizio Novecento, con passaggi marcati dall’arte classica al futurismo di quasi un secolo fa.

Ne veniamo da un periodo seriamente coinvolgente che ci ha tenuti segregati in casa e sono le prime uscite con mascherine e disinfettante. Ed eccomi ai Campi d’Annibale, in una casa poco distante dalla Pompa, il parco comunale di Rocca di Papa.

Mi apre il cancello uno di quei rocchegiani che il bosco lo conosce a menadito: la natura non ha segreti per lui, di antica stirpe legata alla natura circostante, con i suoi sentieri, i frutti, le piante, i funghi…

Mi accoglie all’aperto, nel patio della sua casa, in un angolo assolato: sul soffitto fanno bella mostra una serie di canestri di legno di castagno, di diverse misure e dimensioni. Sul tavolo di vetro son pronte delle lunghe stecche di legno chiaro.

Le ha preparate in anticipo, tagliando a fettine un pollone di castagno di circa due anni: si tratta di un ricaccio, nato vicino alla pianta madre, liscio e dritto; non deve avere nodi o rametti, ha una circonferenza di 3 o 4 centimetri. Le lunghe fette di circa un metro hanno uno spessore di 2 millimetri.

Poco distante un altro bastone che ha le caratteristiche appena descritte, ha ancora la sua corteccia: Luigi De Santis, detto ‘a Crastica d’a razza de Gigi u Bellu, spiega che le otto stecche che vengono ricavate dalla parte centrale della circonferenza del pollone, tagliato nel senso della sua lunghezza, saranno utilizzate per il fondo del canestro. Le rimanenti sei o sette, prodotte con le parti laterali del bastone stesso, ritagliate della larghezza di un centimentro, saranno utilizzate per comporre il canestro. Con un coltello affilato dalla lunga lama leggermente ricurva il signor De Santis mostra, con vera maestria e abilità, come incidere il legno: lo taglia come fosse una pagnotta di pane appoggiandolo al petto e, una volta aperta la sottile striscia, con le mani continua l’opera di distacco quasi si trattasse di un foglio di carta, e la fascia di legno si allunga tra le sue dita.

Nello stesso modo, dalla stessa striscia appena realizzata, incidendo con la lama la parte iniziale, ne tira i lembi con le mani nel senso della lunghezza, ricavandone asticelle più sottili – simili a lunghe stelle filanti di carnevale – che serviranno poi per il bordo applicato alla base del canestro.

Ed eccolo all’opera: le otto stecche larghe, ottenute dalla parte centrale del pollone vengono posizionate a stella sul grande tavolo e legate con un doppio giro di rafia per ottenerne il fondo. Con un fil di ferro già pronto a cerchio, le stecche appena legate vengono poste in verticale, poggiate sul fondo appena approntato e subito dopo, abili mani iniziano a intrecciare passando le strisce tra le stecche; una dopo l’altra, ciascuna inizia il suo giro poco prima della fine della precedente e il canestro prende forma. Il cerchio di ferro viene poi tolto e il lavoro procede, vedendo crescere velocemente l’altezza del canestro stesso. Con un piccolo martello vengono ben assemblate le strisce di legno, in modo che tra esse non resti che un piccolo spazio utile per rilasciar spore a terra, quando questi contenitori naturali verranno utilizzati per la raccolta dei funghi, ma non tanto larghi per impedire che cadano le bacche rosse dei pungitopi raccolti dai nostri boscaioli a Natale, per realizzare mazzi benaugurali da vendere ai fiorai.

Il canestro è pronto: con le forbici per potare si accorcia l’altezza delle strisce non ancora intrecciate, lasciandone una parte alla quale vengono tagliati gli spigoli creando angoli laterali, che verranno poi fermati infilandoli nella prima fascia esterna superiore, appena intrecciata, come una cintura nei passanti dei pantaloni. In tal modo si ferma la parte superiore del canestro. Capovolto, questo regge il peso dello stesso artigiano che vi è appena salito sopra: con i chiodini si fissa il bordo di legno sul fondo del cesto, cerchio ottenuto sempre da un’asticella ricavata dalle striscioline di legno ritagliate. Non resta che inserire il manico – realizzato con l’ultima parte rimasta dell’originario bastone scortecciato – infilandolo tra una striscia e l’altra ai lati del canestro e fissandolo con invisibili chiodini che verranno poi ribattuti all’interno per non lasciar traccia. Conclude il bel lavoro, realizzato in meno di un’ora, una fascia di legno sottile passata come un nastro di raso sul bordo del canestro stesso che viene così rifinito.

Molti realizzavano canestri a Rocca di Papa, soprattutto i carbonai in attesa che la carbonaia cuocesse, attenti che non andasse in fumo il lavoro, partorendo quella che chiamavano ‘a vacca bianca, cioè il carbone ridotto in cenere: i nonni del signor Luigi, ‘a Crastica quello paterno, U Cavajere quello materno, entrambi carbonai, costruivano in attesa canestri e valli, recipienti di rami di castagno intrecciati lunghi circa un metro, aperti sulla parte anteriore e usati orizzontalmente come una grande pala per raccogliere il carbone. Lui, ha imparato da solo, racconta Luigi, smontando e ricomponendo – dopo averlo messo a bagno nell’acqua per due giorni – un canestro acquistato da Tarcisio ‘ e Ciolletta, forse uno degli ultimi cerchiaroli di Rocca di Papa che li realizzava e li vendeva su ordinazione. Un mestiere, o meglio un’arte questa che dovrebbe essere trasmessa alle giovani generazioni, che non può andare persa…

Il dono di questa lezione antica appena ricevuta si concretizza nel bel canestro che mi viene regalato: è l’emozionante conferma del grande cuore rocchegiano che batte da sempre nel fiero carattere dei nostri concittadini. Ruvida scorza d’albero che si scioglie nel calore dell’amicizia e dell’accoglienza.

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