8 marzo. Mimose sì, ma anche opere di bene
Tra gli slogan di quegli anni ’70 che videro il Movimento Femminista scendere in piazza armato di sacrosante rivendicazioni passate di generazione in generazione a partire dalle suffragette, che si battevano agli inizi del ‘900 per il diritto di voto alle donne, ce n’era uno che diceva: “Una donna ha bisogno d’un uomo come un pesce di una bicicletta”, che se anche fosse stato vero molto meglio sarebbe stato non dirlo, e fare il pesce che pedala piuttosto che prendersi tanti pesci in faccia, come del resto avevano fatto le nostre care ave fino a quel punto. Ma la donna – che intanto aveva aperto gli occhietti santi e messo il cuore fra le ortiche si era messa a ragionare col cervellino che non era di gallina come le avevano sempre detto, che intanto aveva messo piede nelle università e non ci aveva fatto per niente brutta figura, che intanto si andava conquistando faticosamente ma irrevocabilmente una propria autonomia – arrivata negli anni settanta a quella svolta della storia che non ammette scappatoie, si confrontò alla pari col sesso forte e successe il finimondo. Al grido di “Tremate le streghe son tornate”, il gentil sesso prese la rincorsa e come un tornado si abbatté su una società di stampo patriarcale, che sempre l’aveva bollata come un castigo di Dio, e fece scoppiare una quarantottata coi fiocchi.
Perché “Donne si nasce streghe si diventa”, e allora andiamo a vedere perché. E si andarono a scoprire tutti gli altarini, che non erano certo edificanti, ma questa è una cosa che non si fa, e se si fa la si paga, e la donna si vide allungare il conto delle sue malefatte, perché ancora una volta si era permessa di mordere la vita.
E il resto è risaputo, non si accendono più roghi ma la donna ogni giorno paga un tributo troppo alto per esistere e resistere, mentre la caccia alle streghe resta aperta e praticata ampiamente in tutto il pianeta, e i più feroci e accaniti cacciatori sono mariti fidanzati e padri, fratelli colleghi e conoscenti, e poveri esseri frustrati capaci solo di violentare e uccidere, senza pietà e senza compassione, con una rabbia che viene da lontano e si proietta lontano, ed è rivolta alla donna che è vita e generatrice di vita, una potenza vitale che umilia l’impotenza e la tramuta in odio.
Ma una cosa dimentica troppo spesso la donna: la dignità del suo essere, la responsabilità che le compete in quanto madre e matrice, la gravità del suo fondamentale ruolo di prima educatrice della prole, da cui dipende la formazione anche di quei mostri che poi le si rivolteranno contro.
La donna troppo spesso non si rispetta e permette di non venir rispettata, e questa è una colpa grave e imperdonabile, dopo che tante donne hanno lottato e lottano per risalire dagli inferi in cui cattive dottrine l’hanno da sempre tenuta segregata.
Mimose e cioccolatini, perché no, ma nella Giornata della donna si accenda ancora qualche lume per far luce su una condizione ancora troppo oscura e oscurata, riprenda vigore nel cuore delle donne la consapevolezza dei loro diritti umani, e del loro dovere di battersi, intelligentemente battersi, per non retrocedere ma anzi progredire nella conquista di sé, che resta alla base di ogni altra conquista.
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