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8 Marzo. Da donna a uomo.

Febbraio 26
17:43 2013

Da donna a uomo, alla pari. Dimmi che ti ho fatto di male, perché mi perseguiti. Dimmi perché ti faccio paura. Perché senza di me non vivi e non mi lasci vivere. Ti sei addormentato nell’eden tutta pace, prima della cacciata, e ho fatto tacere pure gli uccellini perché non turbassero il tuo riposo.

Ho colto per te il primo frutto dell’albero proibito e tu l’hai morso con gusto, ma subito ti sei coperto per la vergogna e anch’io mi sono messa, per tuo rispetto, la foglia di fico. Volevi il figlio per dargli il tuo sangue e il tuo nome ed io te l’ho partorito con gran dolore. Ho difeso dalle belve la nostra caverna, ho mantenuto acceso il focolare. Al tuo fianco ho cacciato e lavorato la terra, ti ho procacciato acqua e pane ogni giorno. Ti ho visto in tutta la tua potenza di uomo e in tutta la tua fragilità di bambino. Ti attacchi al mio seno e mi succhi l’anima, ed io sono sorgente e culla per ogni tuo bisogno. È scritto così da qualche parte, ed è questo che io voglio, se anche tu lo vuoi.
Tu sei per me il sogno bello della mela spaccata e riunita. Piena di semi e di succo. Queste mie labbra portano impresse le tue in un bacio senza fine. Se tu lo vuoi. Se tu non temi di perderti in me, nella mia bocca che saggia continuamente l’eterno. Dimmi che ti ho fatto di male. Perché mi ami e mi uccidi e più dici d’amarmi e più crudelmente mi uccidi? Vorrei dirti qualcosa che forse non sai, che forse hai dimenticato o volutamente ignori, qualcosa che potrebbe farti paura. E già la tua mano corre alla cintola, là dove è appeso da sempre il tuo pugnale di selce. E già il tuo sguardo si oscura, lugubre e triste. Vorrei dirti qualcosa che forse potrebbe spiegarti a te stesso, tirandoti fuori dal caos, e renderti a me con tutta la tua forza e bellezza. Sarebbe un atto d’amore dovuto, che sempre è egoismo. Ti vedo correre negli occhi le mille domande che da millenni ti frustano e mai riescono a farsi parola. Sono qui, senza risposte alle tue domande inespresse e il silenzio soffoca ogni respiro. Ho paura di te. Come tu hai paura di me. Ci stiamo selvaggiamente braccando nella foresta dei nostri sentimenti intricati. Non abbiamo più cibo, non abbiamo più una conca in cui dissetarsi. Ci guardiamo di spalle, mentre l’altro non vede. E cresce la distanza fra noi che ci fa dimenticare perfino com’è caldo e confortante l’abbraccio. Ma c’è un altro abbraccio che nella mente brilla come un coltello affilato. L’abbraccio senza scampo e perdono.
Da donna a uomo, alla pari. Dimmi dove ho sbagliato, dove continuo a sbagliare. Dimmi cosa ti aspetti da me ed io ti dirò le mie attese. Apri la mano e prendi la mia.
Stringila. Guardami come io ti guardo. Diritto, fino in fondo. Dove ritrovo il tuo essere uomo e il mio essere donna. Facce della stessa medaglia. Non voglio fuggire da te, non voglio abbandonarti. Se ti volto le spalle è per piangere senza essere vista. Sono le lacrime di una donna, che fanno paura agli uomini. E se un uomo ha paura, attacca. Com’è stato fin dal principio. Ma anche del riso di una donna, l’uomo ha paura. Anzi, di più. Istinto primordiale, quando dalla tana veniva la sconcia risata della iena.
Terzo millennio, amore mio. Salviamoci insieme, se possibile, dai nostri stessi conflitti che ci fanno vittime e troppo spesso carnefici. Come non so, siediti un momento e parliamone. Se vuoi.

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